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L ’impegno

Safaa guardava lontano il colore del cielo che mutava secondo dopo secondo, era un cogliere in pieno la vita che rinasceva, con la massima dolcezza che la natura quella mattina donava; quei momenti le provocavano estasi e davano colore ai suoi pensieri.
La sua mente cadde per un po’ sulla sua vita di qualche tempo prima e allora domandò a sé stessa come avrebbe potuto essere felice in un mondo costruito da altri solo per l’infelicità, ideato da persone che indossavano una maschera come se niente fosse, tra cui anche e purtroppo, soprattutto, alcuni familiari, ove rappresentava un vero valore il fare in continuo dei confronti, il nutrire il proprio ego di tentativi di sopraffazione, senza conoscere per niente la parola amore? Tutto ciò era sconcertante, per lei inconcepibile e inaccettabile. Safaa aveva subìto un duro colpo quando, un pomeriggio, in un rinfresco, senza che neanche se ne accorgessero e senza che si sapessero controllare, caddero d’improvviso, una ad una, tutte le loro maschere. In quel tristissimo momento, tuttavia, lei si era ripresa in mano tutte le forze sottratte a causa del contatto con queste persone, prive di valori, prive di affetto vero, ma piene di invidia, di falsità: persone tossiche. Aveva sempre avuto molti sentori che qualcosa in loro non andava, era falso, percepiva dalle ostilità che trapelavano dagli atteggiamenti incontrollabili di taluni familiari, che normalmente fingevano affetto durante dei pranzi familiari. Sentiva che qualcosa nei loro rapporti era totalmente finto e pericoloso per lei; ma aveva capito la verità solo in quel momento, dietro a quel rinfresco, ove venne fuori un discorso ereditario. Safaa con le proprie orecchie udì il peggio del peggio uscire dalle loro bocche. Questi di fronte ai loro interessi non seppero trattenersi, e fu così che caddero contemporaneamente le loro maschere.
Passò del tempo, ormai se ne era andata e aveva tagliato ogni ponte, ma, suo malgrado, anche con la cara nonna, inghiottita dalla falsità e cattiveria di quei rapporti, che la tenevano stretta, senza che poi nessuno si occupasse davvero di lei, lei che donava amore. Da allora Safaa stava in guardia dalle persone che ti mettono le radici dentro e si invischiano nella tua vita, che entrano nelle tue emozioni coinvolgendoti nei loro drammi. A volte Safaa pensando tristemente al suo passato, vedeva chiaro come certe persone imparano a farlo sin da piccole, mettono a punto strategie per ottenere il potere, nascondono tuttavia a fatica la loro invidia e si mostrano falsamente affettuose e affascinanti; persone che non vengono certo a dirti: “Io sono una persona tossica, io sono un narcisista, allontanati da me”, persone che hanno questa indole unicamente per alimentare il loro ego, i loro interessi, il loro potere.
Safaa, con la caduta delle maschere, realizzò: “Quando lo capisci sei ormai emotivamente coinvolta con i loro drammi, ed è tardi, rimani segnata, vanno individuate prima che ciò succeda”.
Safaa rappresentava la pecora nera del sistema famiglia; era un esempio di quel che succede in molti sistemi familiari. Era molto tranquilla e centrata, e per questa sua qualità attirava sguardi non troppo benevoli. Da lontano, una sera vide suo fratello che la guardava e si struggeva dalla gelosia, mordicchiandosi le labbra. Rimase scioccata da quella scena; il suo sguardo in realtà non la metteva neanche fuoco, ardeva di fiamme per lui ingestibili da domare. La gelosia lo distruggeva; lei vedeva nei suoi occhi un pensiero assente, totalmente in preda a sconosciuti e bizzarri pensieri come venti multiformi e impazziti, l’uno contro l’altro; la scena di lui era pietosa. Safaa si girò dall’altra parte e se ne andò.
Il suo animo presto divenne inquieto e sviluppò un carattere ribelle, oltre la sua natura, in modo del tutto istintivo non rispettava più alcuna regola; era il suo modo di tenere aggrappata la sua anima a sé stessa, tanto da farsi del male. La sua personalità era ora snaturata, quasi perduta.
Ma nella situazione in cui si trovava, con oscuri nemici e falsi amici, non poteva fare diversamente: doveva ribellarsi, ed esprimersi in qualche modo. Lei era l’ultima arrivata e di solito è l’ultimo che arriva in una famiglia o in un’associazione o in un luogo di lavoro che capisce rituali, non detti impliciti, che i membri del gruppo ormai hanno assimilato e che portano avanti ciecamente senza mai porsi domande.
Lo sguardo di Safaa si era ad un certo punto destato, in grado di portare a galla le peggiori dinamiche nascoste e normalizzate del suo sistema famiglia.
Alla fine il suo allontanamento era stata l’ovvia conseguenza di tutto quanto aveva dovuto subire in modo completamente subdolo, senza che potesse comprendere perché stava così male, e da dove arrivassero i suoi gravi disagi; non potette far altro che trasformarsi da elemento indifferenziato dell’inconscio familiare a donna libera, ora lontana da quel sistema manovrato solo da energia Yin, quella che comanda senza necessità di alcuna violenza né mostrando esplicitamente il suo volere, ma che alla fine s’impone sempre!
Senza l’incontro con Nafis e Quercia, Safaa sarebbe rimasta la sorella minore e la figlia, pecora nera della famiglia, in preda al destino imposto di non avere un ruolo, una personalità, dei valori, incardinata da altri nel magma familiare e sociale ad accettarne supinamente i dettami, in cambio di qualche confort e potere, non certo personale. Safaa rifletteva su tali dinamiche: “Tutti o quasi ne sono coinvolti, la storia è sempre quella fino a quando la pecora nera non fa saltare il sistema proprio nel momento in cui lo mette in discussione, evidenziando ciò che veniva taciuto da sempre, da generazioni”; e così fece Safaa, fino a quando, calate le maschere ed emersa tutta la più cruda e cinica scadente realtà, non decise di partire verso mete differenti, fatte di luce e umanità, mete che sapeva esistere, ma non lì.
Il sollievo e la totale liberazione arrivò quando tagliò del tutto i ponti con quelle energie che le risucchiavano ogni forza vitale, non prima di averle messe a nudo. Disvelato il virus di quelle relazioni tossiche, nessun vaccino era possibile, nessun lockdown rinchiusa in una stanza, solo un abbandono, con lo sconforto di aver perso qualcuno, ma non col cuore.
Aveva preso l’impegno con sé stessa di non tornare più indietro, di sbarazzarsi di tutte le “servitù” di quell’appartenenza: comfort, medici, psicologi, consiglieri, un futuro garantito e di pensare diversamente, abbandonare un loop di pensieri indotti, verso un destino prefissato. Il suo impegno era adesso quello di allenare la sua mente a recidere quel sistema, tanto da poter risolvere da sola ogni suo problema e decidere in piena autonomia delle proprie giornate, del proprio equilibrio, della propria serenità, e delle proprie relazioni.
Ma la fronte di Safaa a volte era corrucciata, rivolgeva lo sguardo in basso verso il terreno, fermo, immobile, lo fissava per lunghi secondi con lo sguardo che si perdeva su un fiore, e poi sul suo cuore, sulle sue cellule, a cercare un’altra dimensione, ma senza trovare una via d’uscita da quelle passate vicende, senza poter capire il perché di quella difficoltà, fino a quando d’un tratto, una sera dopo giorni di viaggio, di fronte all’ennesimo tramonto che le parlava di vita che si rinnova, spostò lo sguardo dal basso, dall’introspezione, e lo diresse verso i suoi punti fermi, verso i suoi valori, verso la propria dignità, e per sempre verso l’infinito, distogliendolo dalle colpe che non aveva. Tutto le fu chiaro e non durò fatica a volgere gli occhi verso il cielo blu. Cancellò via quei pensieri in un soffio, come il vento che in quel momento le accarezzava il viso e i capelli. Avvenne inaspettatamente e spontaneamente; lo fece socchiudendo gli occhi a quella brezza che pareva soffiare solo per donare purezza all’ambiente e a qualsiasi altra cosa, immaginando di chiudere un sipario bianco per porre fine ad una scena triste. Safaa al mattino seguente, nei primi attimi di un’alba caratterizzata da un concerto incredibile di uccellini, nel bagliore che cresceva, aveva spazzato via tutto quell’assurdo bagaglio passato, con le persone che lo avevano popolato, ormai dimenticate, e pensava adesso solo al suo cammino. Prima di tutto aveva capito che di fronte alle situazioni assolutamente non rimediabili che le avevano provocato grave turbamento, doveva semplicemente usare quel sipario bianco per cancellarle via, perché alla base della vita vi era solo un’idea: quella della qualità dei rapporti, dei confronti veri con persone solari e di animo benevolo; ciò era l’unico criterio possibile per una vita autentica e di salute.
Ora Safaa vedeva chiaro davanti a sé, con quel bagliore che silenzioso e pulito si stava facendo sempre più alto. Accanto a lei c’era Nafis seduto in posizione di fiore di loto che respirava profondamente ad occhi socchiusi di fronte al sole che nasceva, lo faceva per favorire la propria forza per la giornata a venire e per tenere ferma e calma la sua mente, in uno stato di beatitudine.
Safaa disse a Nafis:
“L’alba si porta via tutte le nostre fragilità, solo dopo che le abbiamo accettate. Accettandole possiamo comprendere i nostri bisogni e sogni; senza capire questo, tutte le albe perderanno di significato”.
Nafis le rispose:
“Sì, molte sono le persone che non vogliono ammettere le loro fragilità, e così non sanno neanche cosa vogliono davvero, per finire poi a vivere vite scadenti, brancolando nell’oscurità dei sentimenti, rivolgendosi l’una all’altra solo per tornaconti, unica linea guida che sanno apprendere dalla nostra società; per colmare i loro vuoti e insicurezze si rifugiano nei beni materiali; così ampliandoli, ampliano le divisioni, cercando di accaparrarsi con ogni mezzo più beni possibili, togliendoli ad altri, disinteressandosi dei valori di base, dei diritti altrui, senza vivere alcuna vera gioia, solo effimera credenza di bel nutrire la propria carne e il proprio ego, con solo astio e ostilità, non riuscendo a capire cosa sia la bellezza, l’essenza della vita, senza riuscire a percepire la vera ricchezza, la sensibilità, la pietà, la solidarietà, e l’energia che gli ultimi in cammino dal sud del mondo con i piedi bruciati, possono offrire con un sorriso di fronte ad una mano tesa, l’energia che la natura ci sa offrire. Visto che questa è l’unica regola della vita di certe persone, che non potranno mai cambiare e che non potremmo mai cambiare, allora lasciamole andare, potranno semmai porsi qualche domanda, dietro a chi dice No”.
“Per questo io mi trovo qua” disse Safaa mentre maneggiava il suo flauto, la sua arma per comunicare agli altri una lingua diversa. Per esprimere al meglio la sua persona, aveva abbandonato tutti i canonici metodi di espressione del suo profondo essere.
“Mi trovo qua per percorrere una possibile strada giusta per me, quella che in fondo ho sempre portato dentro, senza capirlo. Ci ho messo molto tempo per capire: strano, era semplice, ma allo stesso tempo, molto, troppo difficile, dato che siamo vincolati a legami, se pur vuoti, accecati da falsi interessamenti umani e familiari, ma solo ladri di energia, ladri di tempo, ladri di cose, relegati a strumento, utile per gli altri, per esercitare il loro ego, il loro istinto incontrollabile di sopraffazione. Quando ho avuto piena contezza del baratro in cui mi trovavo, ho deciso e mi sono impegnata ad allontanare persone che non hanno alcun obiettivo nella vita, né sensibilità, se non quella di consumare beni. Persone che non apprezzano l’alba, che non hanno imparato a comunicare con l’anima. È vero, puoi dire loro qualunque cosa ma non serve a niente; il loro unico obiettivo è quello di raggiungere un risultato personale, soddisfare il proprio ego, senza saper vedere e apprezzare le altre persone, nulla e nessun altro al di fuori di loro stessi, in una totale aridità umana. Non esiste altra soluzione che quella di usare un sipario bianco, chiudere e andare avanti verso altro”.
Nafis disse:
“Sì è così; occorre andare avanti, camminare sempre verso nuovi orizzonti, nuovi incontri di valore, verso veri confronti e scambi di emozioni, di idee, in piena sincerità. Questa è la linfa vitale, è la ricchezza”.
Safaa prese l’assist di Nafis, e disse:
“E allora adesso che è finita questa festa unica, questa esperienza incredibile, avvolgente e travolgente, cosa facciamo? Io mi sento in grado di fare cose nuove, quelle cose che da tempo immagino, un vero viaggio! Se non parto adesso per un viaggio, quando allora? Da tempo penso come sarebbe bello andare lontano, lontano dal nostro Occidente, in una terra completamente diversa, con un altro sole, un’altra aria, altra gente, altra cultura. Ho pensato spesso negli ultimi anni all’Africa”.
Il silenzio durò poco, il sole cominciava a crescere alto, e Nafis rispose:
“Sì Safaa, questo è il momento giusto, hai ragione, se non ora quando? Direi di partire, abbiamo tre mesi di tempo prima che comincino le nostre lezioni universitarie, possiamo partire ora! Andiamo a trovare il mio amico Khalil, originario di quella terra desertica, oppressa, nella zona Saharawi; lui abita in una casetta a una decina di chilometri da qua, ci facciamo dare delle informazioni sul suo paese, il Marocco”.
“Sì!”, disse Safaa con fermezza, “il Marocco mi ha sempre ispirato”.
Si alzò in piedi e si stirò facendo un grande respiro nutriente, e si incamminò verso Quercia, dicendo: “Io vado, non so te se vuoi venire davvero”, e con un leggero sorriso sulla bocca disse: “Ho deciso, parto”; e s’incamminò insieme a Quercia, con passo spedito.
“Ehi ehi!” esclamò Nafis, “ma che fai? Subito così?” Lei era già lontana.
“Aspetta, aspetta, vengo anch’io, e che diamine, ma
di che cosa stavamo parlando fino ad adesso? Vengo anch’io, ma mi prendi in giro?”.
Safaa era da tempo che covava l’idea del grande viaggio. Il suo vivere fino ad allora era stato un andare a perlustrare e correre tra i boschi con Quercia che riabbracciava a sua volta la sua natura selvaggia, lei che era nata libera, come il vento; aveva camminato per molto ascoltando la voce degli alberi, degli animali e della divinità; aveva vissuto al di fuori del tempo, passando da esperienze mistiche nella natura a momenti di gioia con gli amici che via via aveva incontrato e conosciuto alle feste medievali in paesi arroccati su quelle verdi colline; a quelle feste lei non mancava mai, se non altro per racimolare qualche soldo grazie alle esibizioni col quel suo flauto che stregava chiunque; era un incantesimo quando suonava e ballava con i suoi capelli lunghi che danzavano con lei ondulando come gabbiani, e i pantaloncini che lasciavano vedere le sue esili gambe marcianti su degli anfibi imponenti.
La vita di Safaa di quel periodo era stata quella: una nomade, apolide, un girovagare costante per lunghi mesi da lei percepiti con una dilatazione del tempo che le parevano tempi infiniti; non erano mesi, si erano tramutati in anni ricchi di crescita e presa di consapevolezza. Quei tempi trascorsi per Safaa erano come dei vasi colmi di olive, dove ogni oliva racchiudeva in sé la sua storia vissuta. Viveva un susseguirsi di esperienze, e maturava così, giorno dopo giorno, la sua idea di mondo in un continuo confronto positivo con le persone che incontrava, con le quali parlava e scambiava idee sul senso, il senso della vita, rubato da una certa società; si confrontava con la natura e con gli animali. Il suo impegno di cambiare e di ritrovarsi, creava incontri positivi, la portava a fare esperienze non previste, a scoprire nuove realtà alternative, nuove incredibili comunità autosufficienti; tutto ciò che poteva costituire un disturbo per il proprio umore lo evitava deliberatamente, cercando così il suo centro di gravità, il suo luogo di elaborazione di pensieri e progetti. Aveva imparato ormai la prima lezione della vita: tenere distanti le negatività e cercare di vivere al meglio quella parte di emisfero ove era nata, vivendolo e condividendolo solo con chi amava, con chi come lei viveva da essere libero gli elementi positivi della natura, nella sua pace e nella sua bellezza, rifuggendo dai rapporti tossici, dai luoghi comuni, dai pregiudizi, da una mentalità dominante e fuorviante.
Disse a Nafis:
“La filosofia greca ci ha consegnato il concetto di limite, ma questo è stato rimosso e dimenticato dalla cultura contemporanea. Solo una limitata parte di popolazione vive consapevolmente nel rispetto di antichissimi valori tramandatici dalla notte dei tempi, e allora non possiamo non stare da quella parte, pur con tutti i sacrifici e angherie che dobbiamo sopportare da quella fetta di popolazione che li ha del tutto rimossi, vuoi con la modernità, vuoi con l’istinto Sapiens, vuoi con l’energia Yin ancora influente. Nonostante l’era del Sagittario sia ormai entrata a pieno regime col passaggio al terzo millennio, e abbia ormai soppiantato quell’energia di conflitto, dura a morire nella mente di tante persone, dilaniandole dentro”.
La costante analisi di Safaa di antichi testi, la meditazione nella natura, il suono del suo flauto per passione e per necessità, erano la base della sua vita essenziale ed esistenziale, per lei ormai irrinunciabile, unica realtà di riferimento. Doveva giorno per giorno capire il percorso che il nuovo destino le aveva ora riservato, ma si era anche imposta di decidere in piena consapevolezza se assecondarlo, o se guardare oltre, alla strada per lei tracciata da altri. Safaa ora stava attenta alle coincidenze, a quelle piccole stranezze e segnali della vita che, se osservate attentamente con la dovuta riflessione e intuizione, le davano importanti messaggi indicazioni sul cammino da seguire.
Adesso, grazie a questa sua attenzione, Safaa aveva compreso che era il momento giusto per una nuova svolta, per partire. Aveva da tempo sognato e maturato l’idea di perdersi in terre lontane ed esotiche, tra gente di altre culture, berbere, Sahrawi, Tuareg e ancora altre. Aveva bisogno di colori nuovi, di nuove idee, di nuove emozioni, fibre vitali differenti rispetto a chi ha la credenza di essere l’unico civile e civilizzato, ma in fondo inconsapevolmente deprivato di valori, di essenza vitale, di umanità. Lei sapeva in cuor suo che il mondo era grande, che esistevano persone di una profondità differente, valori insiti in uno sguardo, in un mantello, in un tatuaggio, in un canto, un ballo, e quelle persone lei andava cercando, ne aveva bisogno, le doveva vedere con i suoi occhi e incontrare.
Safaa aveva realizzato che viaggiare è l’antidoto per sconfiggere il razzismo, per smettere di credere che la nostra pelle è l’unica ad avere ragione, che la nostra lingua è la più romantica. Aveva realizzato che viaggiare fortifica i pensieri, riempie di idee, di sogni con gambe forti, ci evita di credere alle televisioni, all’esistenza di una sola cultura, peraltro solo per pochi e solo memorizzata, quella falsa e diffusa cultura che inventa nemici, quelli col velo, quelli con altri poeti, altri canti, altri suoni, uomini umani non umani, per dare una ragione alle nostre battaglie da fare, alle nostre insicurezze. Aveva compreso che viaggiare insegna a dare un saluto a tutti, a resistere, ad accettare gli altri, a conoscere di cosa siamo capaci, a sentirsi parte di una famiglia, oltre ogni frontiera, tradizione e cultura, insegna a pretendere di essere riconosciuti e trattati come esseri umani, senza finire per credere che siamo senza diritti, nati per un solo panorama.
Safaa cercava quella diversità necessaria per vivere dignitosamente; aveva bisogno di conoscere valori nuovi, diversi da quelli che le erano stati impiantati fino ad allora nella mente; a quelli non credeva più.
Fu così che parlando con Nafis, non appena l’idea del viaggio irruppe nei loro discorsi, Safaa si lasciò andare alla gioia esplosa in quella mattina fresca e assolata, dopo una nottata ancor più straordinaria; piena di entusiasmo coinvolse l’amico in un crescendo di idee che davano ai due una nuova linfa.
Le scintille negli occhi di Nafis e Safaa, che difficilmente si guardavano l’un l’altra, dato che ognuno aveva sempre con sé il proprio personale orizzonte, si incontrarono e non poterono spegnere l’incendio che subito si creò nei loro occhi, in un’incredibile immagine comune istantanea. Fu un continuo divampare di idee e proposte, nei loro passi decisi e dondolanti, l’uno accanto all’altra, come due liberi Charlot che andavano e andavano, verso l’imminente avventura, senza programma alcuno di rientro a breve termine e il loro cammino nell’antica mulattiera che li avrebbe portati da Khalil, correva veloce.
A breve la pubblicazione del cap. n. 14 "L’intesa"
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