14
L’intesa

Arrivarono prima del tramonto, intravidero quella che sembrava una casetta, era isolata, appoggiata sul crinale di una collina in cima alla strada bianca che stavano percorrendo, circondata da valli verdi e sinuose colline di grano; in lontananza potevano vedere una torre medievale e poi vi erano dei boschi che come dei polmoni davano respiro a tutta quella cornice. La casa di Khalil era circondata da piante, fiori, olivi e cipressi, tanto che era quasi invisibile; fuori c’erano tre Border Collie, sentinelle che, appena li videro in lontananza, corsero subito a controllare gli ospiti in arrivo. Intorno alla casa c’erano due asini, una mucca e molte pecore; era un posto dimenticato dagli uomini, ricco di buona energia.
L’ingresso della casa era nascosto da ulivi e piante rampicanti di uva e gelsomini, non c’era nessun campanello. Mentre Quercia si stava ambientando scrutando gli animali lì intorno, Safaa e Nafis si avvicinarono con un po’ di timore alla porta, tenendo la testa bassa per le folte piante; bussarono, ma nessuno rispose. Dopo un po’ di attesa con una certa circospezione e curiosità da parte di entrambi per il posto inusuale e fatato, aprì una ragazza dal viso solare, tratti dolci, capelli castani scuri, lunghi e lisci, gli occhi dal taglio orientale; le chiesero di Khalil e lei col sorriso sulla bocca disse loro che lo avrebbero trovato giù al campo con le sue pecore a pascolare.
Ringraziarono e s’incamminarono nella sua direzione lungo una discesa sterrata che portava ad un grande campo scosceso con in fondo un laghetto. A metà del campo c’erano tre grandi olivi e lì in mezzo era nascosto Khalil, seduto che contemplava il paesaggio, intorno a lui brucavano una ventina di pecore e agnelli saltellanti, oltre ai tre cani che erano andati ad accogliere Safaa e Nafis, per poi scortarli fin lì.
L’incontro tra Khalil e i ragazzi fu caloroso, i suoi occhi si spalancarono e il suo sorriso fu ampio, sembrava non finire mai. Khalil e Nafis si abbracciarono per un po’ e poi quest’ultimo presentò l’amico a Safaa; si sedettero tutti all’ombra di un grande olivo. Nafis e Khalil si raccontarono le vicende di vita vissute nell’ultimo anno, poi il discorso cadde inevitabilmente sul viaggio che Nafis e Safaa volevano intraprendere in Africa.
Safaa parlò di questa sua voglia che aveva da tempo di andare in quella parte di mondo dove aveva la sensazione che l’incontro con gli altri fosse uno scambio di energie positive, di un’umanità ancora viva in quell’altro emisfero di mondo.
Khalil ascoltava le parole di Safaa col sorriso sulla bocca. Lui non sapeva non sorridere, la sua vita difficile lo aveva portato, per uno strano zampino del destino, forse per miracolo e dopo molti sacrifici, in quella casetta affidatagli per puro caso da un vecchio signore per il quale svolgeva con dedizione molti servizi; produceva da solo il cibo che mangiava e che vendeva agli amici del vicino paese, proprio come si usa fare nel Maghreb, ove tutto è scambio, tante donne producono il pane e lo vendono a parenti e amici, lo donano anche senza un compenso a chi ne ha bisogno. La compagna di Khalil, Jamila, lo aiutava negli impasti della farina di grani antichi da lui selezionati con cura e coltivati, il resto del tempo lo passava a dipingere. Khalil rideva spesso, la sua vita era stata strana e dura, ma non troppo beffarda; l’aveva accettata, e si era rivelata forse clemente con lui. Questo lo considerava un miracolo, e ogni cosa glielo ricordava. Quando incontrava qualcuno con cui scambiare dei pensieri, delle considerazioni, dei sorrisi, gustando insieme qualcosa da mangiare, lui sorrideva dentro, ma si vedeva dagli angoli delle sue labbra che rideva, perché questo per lui era il sale della vita, il ringraziamento per il suo miracolo.
Safaa rimase stupita dal suo modo di essere. Khalil cominciò a raccontarle del suo paese in Africa; lo chiamava paese ma era un piccolo quartiere di una grande città sul mare, dove le strade erano quasi private, nel senso che erano frequentate solo dagli abitanti del quartiere. Si conoscevano tutti e ad ogni incontro con qualcuno avveniva un saluto caloroso; era un paese dentro la città. Raccontava che lì da lui c’era una grande casa adibita a sauna pubblica, l’Hammam; ogni quartiere ne aveva una, vista la forte tradizione popolare per la sauna come luogo di relax, pulizia del corpo e scambio di confidenze, accordi, e consegna di insegnamenti alle nuove generazioni. Khalil disse ai ragazzi che sarebbe andato anche lui con loro, perché era aprile, periodo di preghiera e sarebbe in ogni caso andato per salutare sua mamma. I tre mentre ne parlavano si sentivano già all’interno del viaggio.
Quercia sarebbe rimasta lì alla casetta insieme agli asini, alle pecore, ai cani e a Jamila, che li avrebbe accuditi.
Safaa disse a Nafis e al nuovo amico:
“Non vedo l’ora di partire; devo allontanarmi davvero, nonostante ormai sia passato del tempo e la mia vita con Quercia mi abbia dato grandi momenti tutti i giorni. Nonostante i buoni amici trovati, i ladri di energia mi hanno colpita e delusa, tanto che talvolta ne risento tutt’ora”.
“Che vuoi dire?” disse Nafis.
“Purtroppo è ancora forte l’influenza che la vita passata esercita su di me, il segno indelebile che hanno lasciato le persone che presumibilmente dovevano essere care è una ferita che non si chiude, fonte di sofferenza, dall’indifferenza; la mia vita era diventata solo una questione d’abitudine, un’abitudine al dolore, ai pregiudizi e alle catene. Abitudine deprimente, ma ancor peggio erano i tentativi di sopraffazione da parte di talune persone, camuffate con falsi sorrisi, accettazione di cattivi rapporti, che dovevano sembrare rapporti normali, per dover vivere in virtù di quella che era definita la famiglia, l’oblio dell’amore solo memore di antichi ricordi di un’armonia lontana, quando erano presenti i vecchi e la saggezza”.
Ormai il rapporto familiare si era trasformato per Safaa in un costante giudizio, per lei che era un essere libero, giudizio fatto di invidie e gelosie a fronte di una qualsiasi cosa positiva della sua vita, fino ad essere arrivati al culmine della bassezza: ignobili parole e sotterfugi per ragioni economiche, quando l’anziana cara nonna era ancora ben viva e vegeta. “Povera la mia cara nonna” rifletteva spesso Safaa, “relegata ad essere ospite in casa propria, senza che nessuno le parlasse più, stante l’insofferenza degli eredi per l’attesa di beni non loro. Solo a pensarci lo sgomento rode gli organi interni.
A completamento di tutto questo, come se non bastasse, vi era il vero e proprio furto di energia. Quando l’ho percepito ho avuto il segnale che mi ha portato a maturare la decisione di mollare tutti, chiudendo ogni rapporto. Era diventata una questione di sopravvivenza; che poi il furto di energia non arricchisce chi la ruba, serve solo a demolire il derubato, la sua autostima, la sua forza, la sua fantasia, tutte cose oggetto di desiderio, gelosia e invidia. Il ladro di energia desidera principalmente arricchire il proprio ego, in ogni caso alla fine i suoi obiettivi sono sempre i beni materiali. Data la sua incapacità di possedere l’anima, è privo di spiritualità e di valori, non ne conosce neanche il significato. Per questo il ladro di energia arreca un danno enorme alla sua vittima: talvolta manca il respiro senza un perché, l’umore precipita e se non si prendono provvedimenti, la vita va incontro a sicura disfatta”.
Nafis allora disse:
“Forse posso immaginare il senso di ciò che dici, ma che intendi esattamente nel tuo caso?”.
“Niente”, rispose Safaa “ho realizzato che a me piace arricchirmi di positività e basta, passare il tempo con chi ben comprende e accoglie la mia energia, i miei pensieri, il mio modo di essere senza alcun artifizio, senza dover essere ciò che gli altri vorrebbero vedere in me. In poche parole: sono come sono, con i miei pregi e i miei difetti! Non voglio più essere altro che me stessa, e voglio stare insieme a persone a cui piace ciò che sono. Mi piace stare con chi sa donare la propria energia, non con chi ruba la mia e omette di donare la sua. Ovviamente non è possibile controllare gli effetti delle tue cose belle sugli altri, non puoi controllare come reagiranno se fai loro del bene, puoi però scegliere, decidere a chi fare del bene, a chi donare il tuo cuore; se le persone che ci stanno intorno non ci comprendono, possiamo scegliere a chi donarci”. Nafis annuì e Khalil fece un grande sorriso con gli occhi che luccicarono per un po’; il suo sorriso li arricchì e restò stampato sul suo volto con gli occhi illuminati che guardavano il vuoto rimanendo impresso nella mente dei suoi due amici.
Nafis, che stava con gli occhi sempre puntati sulle pecore libere lì intorno a loro, aveva ascoltato attento le parole di Safaa, poi si girò lentamente verso di lei, con un movimento come a prendere un pesante bagaglio e le disse:
“Se riuscissimo a comprendere che la diversità tra le persone è ricchezza da condividere, piuttosto che competizione, potremmo stare molto meglio, potremmo vivere di scambio, unione e conoscenza, come fossero sano cibo ricostituente: amore e consapevolezza. Perché l’amore e l’empatia tra le persone e con ogni forma vivente sono l’unico motore per andare avanti nell’imprevedibile e talvolta non facile esistenza. Apprezzando queste cose possiamo anche stare fermi a guardare la vita che scorre, a godersi la quotidianità, apprezzando le cose semplici ma ricche, senza neanche bisogno di dover possedere tutta quella moneta di scambio che la società ci impone di dover accumulare per acquistare cose spesso superflue, in cambio di un prezzo enorme: tutto il nostro tempo, dall’alba all’imbrunire. Questo consentirebbe di poter vivere il nostro tempo libero ricercando, la condivisione, l’empatia, la consapevolezza, mezzi indispensabili per arrivare a quella quiete dell’animo necessaria per poter apprezzare la libertà; quella libertà che ci permette di vivere con poco, senza perdersi nei messaggi sociali di concetti astrusi di benessere, nella brama dell’accumulo e del consumo, del concetto di crescita infinita, che porta solo a consumo del pianeta, ma con l’enorme valore aggiunto che è la ricchezza interiore, la pace. Saper apprezzare al meglio quello che il mondo ci offre. Cose semplici ma ricche: la natura, le emozioni, quelle che molti non sanno più cosa siano, e poter condividerle con chi le sa apprezzare, toccarle insieme; così dando verità e senso alla vita, e dire insieme no ai mille sfruttamenti… degli animali, del suolo, dei bambini che ci costruiscono beni griffati in oriente, che ci estraggono i minerali in Africa da polverose e struggenti miniere, per i nostri telefonini, per le nostre auto; un vivere insieme in questi valori, senza falsità, ma solo armonia e verità. E così poter far riemergere quella nostra parte interiore, come persa per strade buie, in balìa di direzioni casuali, perché questo è ciò che alla fine ci offre la nostra società, e se non apri gli occhi, ci caschi in pieno, nella direzione dell’infelicità”.
Dopo un po’ di silenzio in cui tutti contemplarono il paesaggio, con i pensieri che scorrevano liberi tra il cielo, a un effetto che correva veloce ad accogliere l’imbrunire, con le menti aperte a cambiare prospettiva, dietro ogni parola, come quel cielo, Safaa a un certo punto distolse le menti degli amici da quella, dicendo:
“Ecco perché è bello e necessario conoscere e aprirsi all’altro, perché il sale della vita sta nella diversità, perché la bellezza è diversità. La diversità è una ricchezza. Bisogna imparare dalle persone che la pensano in modo diverso da noi e che ti fanno vedere le cose sotto un’altra prospettiva, altrimenti rimarresti limitato nella tua visione. Una delle cose più belle che una persona ti può insegnare ma che in realtà tu comunque puoi apprendere da questa persona è proprio vedere come risolve i problemi. Ognuno di noi ha dei modi diversi per risolverli; le persone più negative si soffermano troppo sul problema, i superpositivi, pensano soltanto a cercare una soluzione, poi ci sono delle persone che si mettono in mezzo, le quali prendono il problema ne tengono di conto però sono comunque già proiettate alla soluzione. Per me, continuava Safaa, una cosa bellissima che si può imparare dalle persone è proprio questa: vedere come risolvono i problemi”.
“Bello” disse Nafis “questo è amore, per la diversità, per l’umanità. Se tutti fossimo stati educati all’umanità, il mondo sarebbe migliore davvero; e poi l’amore tra due persone dove lo metti? Si può imparare da altre culture?”
Safaa rimase un pò colpita da questa domanda rivoltale proprio da Nafis, l’amico che andava un po’ oltre l’amicizia, e pensò ad una domanda trabocchetto; allora rispose: “L’amore tra due persone è solo un miracolo, può succedere, può non succedere. L’amore è universale, nessuno lo può insegnare, semplicemente c’è o non c’è”. Nafis sgranò gli occhi, e abbassò lo sguardo. E Safaa continuò:
“Per adesso non mi è mai successo e non penso che mi succederà mai. Penso però che se capita di amare una persona, questo possa essere vero amore quando il tuo unico desiderio è renderla felice e sorridere vedendola felice.
Il filosofo Aivanhov diceva che per la maggior parte degli esseri umani amare significa chiedere, esigere, reclamare, per poi rimanere comunque insoddisfatti; se così è, io non voglio cadere in questa trappola, preferisco stare sola a vivere intensamente la vita. Che poi non si è mai soli se hai degli amici. Le persone si comportano così anche nei confronti di Dio: chiedono, chiedono e chiedono, ma poi sanno dare? L’unico criterio per sapere se realmente ami qualcuno è quello secondo cui dalla persona che pensi di amare non esigi nulla e ringrazi il cielo solo per il fatto che quell’essere esiste. Altrimenti, chiama i tuoi sentimenti come vuoi, ma in ogni caso non si tratta di amore. Abbiamo bisogno di amare e di essere amati, di conoscere e di creare. Chiamano felicità la realizzazione di tali aspirazioni, ma questa è un dono che si deve coltivare, altrimenti non la si ottiene”.
Nella mente pulita e libera di Nafis ascoltando le parole di Safaa era subito comparsa, come per incanto, una scintilla. Era un pensiero fulmineo, avvolgente, e mentre udiva quelle parole, questa scintilla di pensiero prese forma e subito lui lo esplicitò:
“Belle queste parole e questa citazione, ma difficile da comprenderne appieno il senso profondo, figuratevi per le molte persone intrappolate nel caos della nostra società di consumi e ristrettezze. Sapete come mai non esiste più la pace, come mai non ci sono più certezze, e punti di riferimento? Proprio perché ci siamo dimenticati il valore dell’amore. Pace non è solo il contrario di guerra, pace è di più, è la legge della vita, pace è quando agiamo in modo giusto, è quando tra ogni singolo essere regna la giustizia. Ci siamo dimenticati dell’amore, del rispetto, della stima per il prossimo, tutto sostituito dal desiderio di cose e denari, per il proprio personale egoismo; perfetta è la definizione di quel filosofo che disse: Le persone sono create per essere amate e le cose per essere usate, ma il mondo è nel caos perché invece si amano le cose e si usano le persone.
“I tuoi pensieri sono sempre le solite scintille stellari”, disse Safaa, “la frase è dello scrittore americano John Powell e la sua citazione in questa nostra riflessione cade proprio a pennello. Tuttavia ti devo dire una cosa, ma non voglio sembrare presuntuosa, è solo un dato di fatto: occorre cercare la saggezza, non la conoscenza, la conoscenza è il passato, la saggezza è il futuro. Bisogna scegliere con convinzione di essere felici oggi, questo ti permette di affrontare di tutto: un viaggio senza soldi, più lavori contemporaneamente, momenti difficili, ma se opti per l’intelligenza di essere felice vai avanti, senza ignorare i momenti in cui questa ti passa accanto e non la vedi; il succo di tutto il discorso è la scelta di questa opzione, che ti porta ad essere te stesso e a poter amare veramente”.
“Sì”, rispose Nafis, “quando leggiamo delle frasi bellissime, dei classici intramontabili, e le leggiamo col profondo del cuore, anche se non siamo esattamente colti, queste rimangono impresse e ci segnano, ci danno ulteriori risorse, cibo per la mente e per lo spirito. Se certe frasi le vivi davvero, le applichi tutti i giorni e le sperimenti, allora cammini verso la direzione giusta”. I tre ragazzi rimasero un po’ in silenzio contemplando tutto intorno a loro con beatitudine, un silenzio che scandiva il loro momento rendendolo eterno. Khalil ora era completamente ipnotizzato dal cielo celeste che stava lasciando il posto al sipario blu della notte, con le prime stelle che si accendevano, quando Safaa lo fece sobbalzare esclamando:
“L’amore va conquistato!”.
Khalil di colpo aveva spalancato i suoi occhi scuri guardando ancora in alto, e Safaa proseguì dicendo parole che sembravano scriversi una ad una su quel cielo da lui osservato con gli occhi ancora increduli: “Per conquistare l’amore bisogna essere forti. I forti non piacciono, sono scomodi, sono sempre in ascolto, sono sensibili, soffrono ai tentativi di manipolazione, ma sanno essere felici anche quando le cose non vanno troppo bene, perché tutti i giorni si ripetono i loro principi. Io non so se sono forte, ma di sicuro chi ha tentato di mettere a dura prova la mia resistenza mi ha solo spinto a ribellarmi, costringendomi a tirare fuori l’anima e a mostrare una persona che non avevano mai conosciuto. Hanno provato a farmi sentire la pecora nera della famiglia, quando non sanno che in realtà le cosiddette pecore nere sono la strada di liberazione dell’albero genealogico, perché non si adattano alle tradizioni della famiglia e spezzano le catene; le persone chiuse non sanno che non tutte le tradizioni sono da mantenere, e le pecore nere sono le uniche che possono liberare l’albero da eredità nefaste tramandate di generazione in generazione, riparano e creano un nuovo e fiorito ramo, il fiore più prezioso.
Cogliendo tutti di sorpresa ho voltato loro le spalle, per concedere il mio amore solo a chi decido io, e adesso eccomi qua con Quercia… e con voi!”.
Safaa, tuttavia, disse questo con un velo di tristezza nei propri occhi, e un bagliore di lacrime che vi si gonfiò dentro la catapultò a ricordare sua nonna, il lato nefasto della composizione non del tutto perfetta del suo mosaico. Non riuscì più a parlare: tutti i suoi discorsi erano privi di senso di fronte alla verità di quella sconfitta, doveva prenderne atto, ma non ci riusciva; chinò la testa e rimase a lungo in silenzio ad osservare un fiore, accarezzandolo con le sue lacrime, perdendovisi dentro, come spesso accadeva quando quei dubbi la assalivano, cos’altro avrebbe potuto fare? Sapeva che una risposta sarebbe potuta arrivare col suo viaggio, ma per ora si sentiva persa e poteva solo perdersi in quel fiore.
Il tempo scorreva e ora tutti erano pensierosi, un certo alone di tristezza si era sollevato in loro, quando Nafis sorridendo appena si avvicinò a Safaa e le dette una stretta sulla spalla scuotendola un po’. Lei si lasciò scuotere dondolando la testa con gli occhi socchiusi e ancora bagnati, mentre Khalil guardava ancora il cielo verso l’infinito, accompagnato dagli altri a meditare sulla sua essenza, sulle cose perse lasciate alle sue spalle, che ora sentiva maggiormente e che forse avrebbe potuto ritrovare.
Adesso i tre amici riposavano e meditavano distesi sull’erba, ormai all’imbrunire, Safaa riprese a parlare; era come se la sua mente fosse fusa con il cielo, sua ancora di salvezza, oltre all’amicizia di Nafis che l’aveva distolta da quei pensieri, quindi riprese a parlare per cercare di dare a sé stessa saper fuggire, non basta essere forti per pararsi dai colpi della vita, se fai certe scelte, occorre perseguire un obiettivo che valga la pena. Io devo conoscere, vedere altra gente, altri mondi, dove lo scambio di uno sguardo è vero scambio di emozioni, di informazioni, di ricchezza spirituale, diverso da quello che trovo qua; questo devo trovare, altrimenti nulla di quello che ho fatto ha più senso, e avrei tradito davvero qualcuno. Il mosaico quando si inizia, va finito per bene.
E allora, devo capire se la vita può offrire dell’altro, ridere insieme a gente nuova, persone che sanno ridere, senza illusioni, senza allusioni, senza ricchezze materiali, ricche di semplicità e anche di ingenuità e genuinità. Pensateci, se non avessi preso la difficile decisione di andarmene, non vi avrei neanche incontrato, non sarei stata alla festa della notte di San Venanzio, e ora non saremmo qui a goderci insieme questi momenti. Chissà dove saremmo”.
“E quindi sei partita per scoprire l’animo umano, svincolato dai cliché occidentali?” le chiese Nafis.
Safaa replicò: “Forse mi stai prendendo in giro, ma io sono seria. Devo indagare, il mondo non finisce tutto qua, devo vedere cosa c’è oltre, non mi basta quello che ho visto nel nostro Paese, troppe cose le trovo scontate; manca nelle persone la voglia di scoprire altro dentro sé stesse, di scoprire l’altro, fanno un viaggio turistico di quindici giorni e pensano di aver conosciuto un paese, una cultura, ma hanno visto solo immagini, non sanno di far parte di una parte di emisfero dove l’analfabetismo emotivo li ha colti come un’epidemia insieme a tante persone. E quello lo si combatte insegnando l’umanità, leggendo poesie, romanzi, educando alla bellezza e all’empatia, insegnando ai bambini sin da piccoli ad Amare.
Invece rientrano a casa, senza aver conosciuto davvero nessuno, in una routine di azioni ripetitive dettate da una società malata che si ripete in virtù del Dio profitto. No, davvero, non penso che sia tutto qua: a prescindere dalle nostre opere d’arte ereditate dal passato, il nostro mondo attuale non basta più a sé stesso, come ci è stato fatto credere; adesso sono pronta, e a questo punto devo andare”.
Nafis le disse:
“Ti capisco perfettamente e approvo quello che dici… dai, voglio partire anche io, te l’ho detto. Quando partiamo?”.
“Direi il tempo materiale di preparare i documenti e fare i biglietti, ma di soldi ne abbiamo pochi; non possiamo spendere tutto nel biglietto aereo”.
Alcuni attimi di silenzio scandirono degli improbabili quanto enigmatici punti di sospensione, fino a quando Safaa si alzò in piedi ed esclamò:
“E’ adesso l’ora di partire, andiamo in nave!”.
Si avvicinò a Quercia, le accarezzò il muso e la guardò intensamente, i loro occhi piansero. Quercia aveva capito che il loro periodo era arrivato ad un traguardo, ma sapeva di trovarsi adesso in un luogo sicuro. Safaa l’accompagnò da Jamila e parlò con lei a lungo, mentre Quercia sembrava che le stesse ascoltando. La stava affidando a Jamila. Sarebbero passati forse due mesi o forse di più, e Quercia non avrebbe dovuto cadere di nuovo nel baratro, doveva essere sicura che non si sarebbe trattato di un abbandono. Così Safaa decise di passare un giorno e una notte speciale con Quercia e Jamila per passare le consegne.
Fuori dalla stalla dove alloggiava la cavalla accese un falò e stette tutta la notte accanto a lei nella posizione del fiore di loto, meditando e poi dormendo un po’ come quella prima volta della loro conoscenza, ai suoi piedi. Ogni tanto si svegliava e la abbracciava dandole una carezza, poi una carota; Quercia chinava la testa verso di lei, prendeva e la masticava piano, guardando con gli occhi semichiusi e quasi piangenti la sua amica. Al mattino, con Jamila le portarono dell’avena, e quando lei si decise finalmente a mangiare, la spazzolarono per molto tempo rendendola lucida e bellissima; tutto il giorno lo passarono vicino a Quercia sotto a dei grandi alberi riparati dal sole a preparare le cose per il viaggio, poi infine accesero di nuovo il fuoco dove cucinarono e mangiarono alcune cose, e al calar della sera passarono le ultime ore prima della notte intorno al fuoco, poi dormirono lì, tutti insieme. Quercia si sdraiò fra Safaa e a Jamila, che avevano posizionato i loro sacchi a pelo non lontano dal fuoco. Fu una notte magica, infinita, e Quercia si era appropriata completamente di quel luogo; quella era adesso la casa dove di sicuro Safaa sarebbe ritornata.
Passarono altri giorni in cui Safaa ripeteva gli stessi rituali con Quercia, al mattino la pettinava, poi una lunga passeggiata di tre ore a disegnare i confini del futuro territorio di Quercia, poi avena, carote e carezze, pranzo per Safaa e un pisolino insieme; un’ora prima del tramonto ancora una passeggiata insieme fino al lago a bagnarsi, e alla sera riprendevano la loro posizione intorno al fuoco. Safaa meditava mentre Quercia la osservava, ormai attendeva il momento dell’arrivederci. Ormai sapeva.
Il momento dell’addio fu un mattino all’alba, fu duro e straziante, ma anche un momento propiziatorio di incoronazione della loro amicizia e fedeltà; Quercia con la sua sicurezza stava a testa alta, con il manto nero, la criniera lunga e le orecchie ritte in ascolto di ogni movimento, a protezione del gruppo di fedeli amici umani e animali, ormai era lei la regina di quelle colline, ammirata da tutti gli animali, rassicurati dalla sua presenza.
Safaa l’abbracciò per un po’… lunghi minuti, e quando mollò la presa un grande vuoto si aprì tra loro come un buco nero tra le loro stelle. Quercia guardò Safaa, Nafis e Khalil che si allontanavano. Rimase immobile fin quando non furono molto lontani, poi d’improvviso s’impennò e iniziò a galoppare verso di loro con i cani che la inseguivano non riuscendo a starle dietro, una corsa folle. Safaa non credette ai suoi occhi: Quercia con i suoi zoccoli era un tuono nella valle.
La raggiunse, e Safaa non seppe non trattenersi. Un forte bagliore riempì i suoi occhi, con Quercia aveva imparato a lasciarsi andare, a prendere decisioni, a piangere, ma senza soffrire troppo, perché quello fu uno di quegli abbracci unici che racchiudono sicurezze, promesse e certezze. Quercia chinò il capo e si inginocchiò. Safaa la baciò sulla fronte, fu un ultimo lungo gesto, poi stettero fronte sulla fronte, non servono parole. Ad un certo momento Quercia si impennò e tornò a galoppo verso la sua nuova casa, con la criniera che si bagnava delle sue lacrime, e più correva più le lacrime si perdevano nell’aria andando a confondersi con le gocce di rugiada di quell’alba. Non si voltò più, Quercia era troppo forte, correva e correva rimbombando in tutta la valle, facendo risuonare quel temuto addio che un giorno sarebbe dovuto arrivare.
Safaa osservava Quercia che correva lontano da lei e i suoi occhi si spalancavano e non riuscivano a staccarsi da lei.
Anche Nafis e Khalil si commossero e non sapevano come fare per stemperare quel momento che sembrava non finire più.
Il momento passò; prima o poi passa tutto, e bisogna voltare le spalle e andare, e Safaa volle andare, sicura di Quercia e di sé stessa, sicura che si sarebbero riviste. Così, insieme, in silenzio, ripresero il cammino. Il momento non fu per niente facile per nessuno. Avevano lasciato Quercia e in cambio si stavano portando via solo il cuore in gola.
A breve la pubblicazione del cap. n. 15 "I mosaici e il loro mistero"
Acquista su Amazon book o ebook qui:
con Bonus cultura
oppure su questo sito,
o in libreria con cod. ISBN 9791220083522
Audiolibro qui:
La Ragazza che abbandonò il Destino
La Storia di una ragazza in fuga da un destino non suo
***
La Ragazza che abbandonò il Destino è un romanzo di formazione che mostra quanto la fuga sia necessaria al ricongiungimento con la propria vera identità: ovunque è casa solo se le radici dell’io sono ben salde.
Comments