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Immagine del redattoreAlessandro Niccoli

Cap. 21 IL CAMBIO CANALE -La Ragazza che abbandonò il Destino-

IL CAMBIO CANALE

 

Il mattino successivo, molto presto, Safaa e Nafis fecero il saluto al sole, iniziarono con le normali posizioni yoga che conoscevano. Safaa chiamava il Surya Namaskara, ovvero il Saluto al sole, il pieno di energia; era quella serie di asana di Hatha Yoga che conosceva e che ripeteva ciclicamente al mattino presto per acquisire la giusta energia, l’aurea di protezione e per iniziare bene la giornata.

Quella mattina di fronte al sorgere del sole, il saluto si trasformò in un rito.

L’energia solare presente in quel momento era forte e Safaa praticò il saluto in modo completo insieme al prāṇāyāma, il controllo ritmico del respiro, ai mantra, ai gesti delle mani mudrā, per cercare l’equilibrio tra mente, corpo e spirito, con particolare attenzione ai chakra. Espresse tutta la sua devozione nei confronti di quel sole portatore di vita con i suoi raggi energetici che fanno fiorire la natura. Lo scopo di Safaa, tuttavia, non era solo devozionale e simbolico per onorare il sole, era anche fisico, per sciogliersi, allungare e rendere flessibili i muscoli, massaggiare gli organi interni e ampliare la respirazione.

Mentre Safaa eseguiva i suoi due amici la seguivano, erano tutti entrati in uno stato di quasi catalessi e meditazione, mentre ripetevano pedissequamente le po- sizioni che via via Safaa realizzava. Fu per tutti un crescendo continuo di meditazione, contemplazione di sé stessi, dell’ambiente intorno e della loro energia vitale. A un certo punto si fermarono in un lungo inchino, poi si misero seduti e recitarono insieme il mantra Om, il suono primordiale dell’Universo, forse il più affascinante, la vibrazione originale emessa agli albori della terra, che scorre attraverso il Prana, uno dei mantra più potenti di tutti i tempi. In quello scenario nordafricano, di fronte all’alba dalla calda brezza oceanica l’Om, recitato dai tre scatenò una potenza energetica che rimbombò lungo tutta la spiaggia, e alcuni gabbiani in volo atterrarono proprio vicino a loro. Il lieve sole che sorgeva dal deserto alimentava la loro energia canalizzata all’esterno sotto forma di una vibrazione connessa con quella della terra, che andava poi ad unire tutti gli esseri lì presenti, compresi i cinque dromedari che non si erano mai allontanati da loro.

Finito l’Om, Khalil e Nafis si stirarono, poi rimasero un po’ sdraiati a contemplare il tutto, come fossero rinati con occhi luminosi ricchi di stupore come due bambini, dopodiché mangiarono con appetito gli ultimi frutti rimasti, in una silenziosa beatitudine che trapelava dai loro volti resi arancioni dai raggi del sole e dal colore della grande valle, e si rilassarono ognuno appoggiato ad un salice piangente. Safaa rivolta ver- so il mare si limitò a mangiare un po’ di uva per poi

riprendere a respirare profondamente con gli occhi socchiusi baciata da una leggera brezza oceanica che si innalzava increspando appena le onde. D’improvviso si alzò in piedi e si incamminò verso il mare, con indosso un solo velo celeste che le copriva il seno e il ventre e che lasciava alle sue spalle, per gli amici che la guardavano perplessi, un’affascinante scia. Piano piano si immerse nelle fredde acque dell’oceano. L’immersione subacquea durò qualche minuto, aiutata dalle sue precedenti lunghe respirazioni mentre l’acqua in superficie brillava e rifletteva il cielo; i suoi occhi rimasero aperti e l’acqua limpida, brillante e gelida l’aveva elettrizzata, tanto che iniziò a nuotare in profondità, sempre più giù, dove sentiva vibrazioni e suoni lontani del mare e dei suoi abitanti.

Nafis e Khalil che guardavano il mare aperto cercando di capire, si incominciarono ad incupire per tutto quel tempo in cui Safaa non si vedeva più. I secondi passavano e la loro curiosità iniziava a trasformarsi in apprensione, ma ancora stavano fermi fiduciosi; tuttavia i loro battiti aumentavano, e scandivano il tempo come dei tamburi con i secondi che scorrevano, mentre Safaa continuava a nuotare sempre più nel profon- do. Una forza l’attraeva: era l’abisso, suoni ancestrali profondi, il profondo di tutte le cose, un silenzio puli- to, colmo di tutta la ricchezza più imperscrutata della natura, con i soli rumori del fondo del mare, rumori di scintille universali, accompagnati da lontani richiami di una balena. Safaa sapeva che poteva non avere più aria per risalire, ma continuava a scendere, quando le arrivò d’un tratto un pensiero: il miglior luogo per finire la propria vita era quello, e si lasciò ancora per qualche secondo attrarre da quel folle pensiero, dall’ambiente magico sottomarino che la richiamava verso il fondo come una calamita, era ormai a pochi decimi di secondo dalla meraviglia assoluta. Pensò che sarebbe stata la miglior morte possibile nell’abisso luminoso, in mezzo ai delfini, fra gli scricchiolii solitari del profondo mare, e non si preoccupava di quell’eventualità: era parte della vita.

L’abisso l’aveva rapita e i suoi sensi se ne stavano andando, con una parte della sua anima che stava toccando lo spazio infinito. Safaa stava così morendo.

I suoi due amici si incamminarono verso il mare, la loro ansia era ora fortissima, iniziarono a nutrire dubbi sulla forza di Safaa e sulle sue reali intenzioni, i loro occhi iniziarono a produrre lacrime, il loro respiro era in subbuglio.

Si tuffarono e nuotarono sommersi in quello spazio luminoso infinito.

Vedevano tutto il mare luminoso, ma lei non la scorgevano.

Con un ultimo sussulto, mentre ormai il suo corpo era privo di energia propulsiva, uno scampolo di istinto interruppe l’inizio dello svenimento letale. Le fece riaprire gli occhi per vedere com’era il paradiso dove ora credeva di trovarsi, e vide un bagliore immenso sopra di lei. Capì che era quell’immenso mare blu a riflettere il sole e che il vero paradiso era quello, reale, qui ed ora, non altrove; era la terra, terra di non dover mai immaginare di poter abbandonare prima della chiamata finale.

I suoi polmoni erano ancora in apnea, tuttavia il loro volume era molto ridotto a causa della forte pressione dell’acqua data dalla profondità eccessiva ove si era spinta, i muscoli della respirazione erano fermi, aveva ormai pochissimi secondi di vita in mano, li utilizzò per salire in alto verso la luce; questa si avvicinava ma non tanto per arrivare ancora all’aria. Ora sì, ora pensava davvero che sarebbe morta; sentiva che sarebbe morta dopo un solo altro attimo, mentre Nafis e Khalil erano in mezzo al mare che si giravano a destra e a sinistra, in uno stato di apprensione ormai vicino all’angoscia totale. Safaa era sparita!! Non avevano previsto questa cosa in quel posto dimenticato dagli uomini e baciato da Dio. Ma Nafis non ci stava, fece un balzo fuori dall’acqua e lanciò un urlo lancinante:

“Safaaaaaaa!”.

Lei era adesso immobile, a cinque metri dal pelo dell’acqua e dall’aria, non ce l’aveva fatta. Era svenuta. Quando dai timpani le arrivò alla mente la voce lontana di Nafis che la chiamava, gli occhi le si riaprirono d’incanto verso l’alto, verso la luce e la sua paura di vivere sparì, i muscoli del respiro si riattivarono, buttò fuori tutta l’aria dai polmoni ancora in apnea e un’ondata di energia arrivò ai muscoli delle gambe e delle braccia. Con un colpo di reni le gambe si riattivarono e le dettero quell’ultima necessaria forte spinta verso l’alto, con le braccia unite verso il cielo. Era la sua ultima possibilità; ancora un attimo e i suoi polmoni sarebbero scoppiati, ormai l’assenza di aria era insostenibile, un solo attimo per poter vivere. I suoi occhi vedevano il cielo sopra l’acqua … era stupen- do. In quei pochi attimi tra la vita e la morte nella sua mente passarono molti pensieri velocissimi, come avviene in sogno, incoscienti e coscienti e tra questi pensò che quel cielo non lo avrebbe più voluto lasciare se solo lo avesse raggiunto. Il pelo dell’acqua si stava avvicinando sempre di più, aveva gli occhi spalancati, vitrei, potevano solo essere gli occhi di una guerrie- ra, speranzosi di fronte alla quasi sicura morte, alla consapevolezza di non potercela più fare; ma espri- mevano l’incosciente voglia di farcela, come quelli di un animale che confida sempre di poter vivere poco prima della sua macellazione, occhi fuori dalle orbite, con le lacrime che si perdevano nell’acqua, la lotta per la vita era divenuta per lei, per la prima volta, totale.

Era quasi finita, la forza d’inerzia di quel suo potente slancio la fece scorrere verso l’alto per un ultimo metro, ma non era sufficiente.

Quando si trovò ad un soffio dal pelo dell’acqua, trovò la forza di darsi un ultimo esplosivo flebile slancio con le gambe per giocarsi la carta di poter riab- bracciare l’aria, a polmoni ormai vuoti e incapaci di non aspirare una boccata d’acqua per un solo altro decimo di secondo, mentre con una mano si chiuse ancora il naso per sopperire all’altro grave rischio da decompressione.

Sbucò potentemente fuori dall’acqua come fosse stata un delfino che salta in alto, prese una grande boccata di quell’aria tanto amata e venerata nella vita, che al mattino misurava con attenzione durante le sue sedute di Yoga, e lanciò un urlo potentissimo di liberazione, avvolta dal getto di schizzi che aveva provocato.

Nafis aveva le lacrime agli occhi e nuotò verso di lei per soccorrerla, l’abbracciò e le disse:

“Safaa dove sei stata?” e l’aiutò a tornare a riva. Khalil ripetette per quattro volte:

Alhamdo lillah ala rahmatika ya Allah”.

Si ritrovò stesa sulla sabbia calda sotto ai raggi del sole, la sua pelle fredda e tirata si nutriva di quel tepore, i polmoni erano liberi e rinfrancati come mai prima, li sentiva potenti, arricchiti e poderosi, il torace sembrava una noce gigante, era la fortezza dei suoi forti polmoni, la fortezza della vita, allenati da sempre con esercizi di respirazione, che forse le erano serviti proprio per superare quella prova.

Rimase immobile con gli occhi chiusi a braccia aperte, respirando profondamente per lungo tempo, godendosi il paradiso terrestre, e decise che avrebbe amato quel cielo e quella terra tutti i giorni, perché tutto ciò era Dio, in ogni dove, anche dentro di lei.

Passato del tempo si riprese completamente e mangiò lentamente l’ultima frutta rimasta, poi preparò il suo zaino, andò a salutare tutti gli animali presenti e così fecero anche gli amici.

Safaa accarezzò i dromedari sopra quei grandi occhi incastonati nel loro incredibile volto e guardò un’ultima volta tutto il paesaggio, poi si girò e prese a camminare  senza  più  guardarsi indietro, non poteva, non lo avrebbe sopportato, e fece come Quercia il giorno dell’addio.

Camminarono per tre ore verso il paese, dove la loro automobile li stava attendendo. Durante il cam- mino Nafis ripeté a Safaa quella domanda:

“Ma dove sei stata?” Safaa disse solo:

“Non ti posso rispondere così su due piedi, forse un giorno potrò esprimerlo. Per adesso posso solo dirti che ho vissuto un viaggio incredibile a cavallo tra questo e l’altro mondo”.

Khalil che camminava accanto a loro, si intromise nel discorso: “L’altro mondo dovrebbe assomigliare al tuffo di un cigno pieno di grazia senza increspare la superficie dell’acqua”, e Safaa rispose: “Uno su mille ce la fa. Molti si lasciano morire in vita e aspettano solo un tonfo, quando il corpo umano è perfetto per durare fino alla fine, fino al momento in cui le cellule arrivano all’autodistruzione… un processo naturale che permette all’anima di esalare.

Così fanno i fiori, si aggrappano all’ultimo raggio di luce e all’ultima goccia d’acqua, tutti i giorni e solo quando è il momento, accettano di tornare alla terra con estrema dolcezza. Un vecchio, così come un animale si lasciano morire tranquillamente senza paura, ma solo quando è il momento: difficile è arrivarci a quel momento!! Prima di quel momento è ineluttabilmente e doverosamente il tempo della lotta. Questo posso dire dopo l’esperienza che ho avuto oggi”.

Giunsero al mercato del piccolo paese e vennero aggrediti dalla fame e si sbizzarrirono a comprare per poche dirham delle buone e nutrienti pietanze, un’ottima zuppa di pasta e verdure, fagioli col pomodoro e del pane, che consumarono su una panca all’ombra. Safaa, che si vedeva chiaramente come fosse ancora debilitata, chiese con una voce leggera ma forte una bottiglia di acqua ad un mercante di frutta seduto vicino a loro. Questi rispose che ce l’aveva ma non era fresca; le disse di attendere un minuto e corse al di là della strada a prenderle acqua fresca. Il mercante aveva visto in lei una donna forte da riverire, come le loro donne di montagna, e Safaa rimase appagata da quel comportamento umano e gentile, e lo ringraziò con un leggero inchino. Poi bevve, bevve, bevve, ancora acqua, acqua a non finire, guardandola così chia- ra scendere in lei, ripensando all’avventura vissuta nell’acqua del mare, la guardava ancora, ne godeva, la beveva e pensava che l’essenza della vita era lei, insieme all’aria.

Durante il viaggio in auto, mentre era assorta ad ammirare il paesaggio che scorreva, alcune riflessioni inaspettatamente la avvolsero e alcune immagini la aggredirono: erano quelle dei volti di suoi familiari che in passato l’avevano solo sminuita, non provando mai neanche per un secondo a comprenderla. Adesso, forte come si sentiva dopo l’esperienza vissuta, forte della potenza ricevuta da quell’ambiente, dai suoi amici animali e umani, continuò a guardare fuori dal finestrino e sorrise.

Quelle persone non contavano più nulla per lei, né il loro giudizio, né la loro assenza, ne la loro presenza. Adesso era libera anche di tornare nella casa familiare che aveva abbandonato e se avesse incontrato qualcuno di questi suoi familiari, avrebbe vissuto l’incontro, semplicemente, come un incontro con un estraneo la cui anima non percepiva, molto inferiore all’anima dei dromedari che avevano passato quelle due notti con lei, lo avrebbe salutato e sarebbe andata avanti per la sua strada con i suoi pensieri.

Poi tornò definitivamente con la mente al viaggio verso Sud e al panorama che mutava ogni istante, era adesso lanciata nella vita, forse grazie ai gabbiani liberi, forse grazie ai fenicotteri rosa, alla pace esibita con fierezza dagli amici dromedari, all’ incredibile e dura battaglia per la vita vissuta in mare, forse grazie al mare, e così aveva cambiato canale.


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