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Cap. 7   "L ’incontro" La Ragazza che abbandonò il Destino di Alessandro Niccoli

Immagine del redattore: Alessandro NiccoliAlessandro Niccoli

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L ’incontro



Camminarono più di due ore in silenzio. Nafis guardava le colline che cambiavano aspetto riuscendo a distogliere i suoi pensieri dal timore che la ragazza misteriosa giunta in paese non fosse Safaa, o se fosse stata lei, che non si ricordasse di lui. Eppure, se fosse stata lei, sarebbe venuta certo per lui. Non poteva essere un caso che si trovasse lì. Del resto Safaa quando si salutarono gli disse: “Ci vediamo”. Ma risalivano in lui grandi dubbi, perché alla fine quelle erano classiche parole di circostanza. “Ci vediamo”; non sapeva se lei avesse ricevuto il suo biglietto con l’indirizzo di dove si sarebbe trasferito, quindi pensò: “Nafis non essere stupido, non essere un bambino, un ingenuo… ‘ci vediamo’ non significa niente”. Si aggrappò allora alle sue regole preventive per non stare male, per non avere paura, quelle che utilizzava per non ammalarsi. E pensò: “Chi se ne frega, ho le mie regole: la prima regola consiste nell’amare sempre incondizionatamente sé stessi e la natura circostante; questa non ha prezzo e restituisce pienezza di vita, sicurezza e forza, anche se molte persone la sottovalutano perché accessibile a tutti”.

Nafis sapeva che la cultura occidentale della mania del possesso portava le persone ad andare a vedere panorami in posti isolati del mondo, ove nessuno riusciva ad andare, solo per averli tutti per sé. La società del possesso portava così le persone a non sapere apprezzare niente, a non saper amare, a non saper amare la natura, per il solo fatto che non è di nostra proprietà, che non si può possedere; le persone, nel mondo del consumo e del possesso vogliono averla per sé la natura, vogliono poterla comprare, recintare, altrimenti non la sapevano apprezzare. Lui si era ribellato ai condizionamenti sociali appresi sin dalla nascita e voleva vivere libero da essi. L’apprezzava sempre e comunque, ovunque, la natura.

Ci era riuscito, ma quella paura indotta dalla società occidentale, paura derivata della mancanza di possesso, e quindi di sicurezza, talvolta si riaffacciava lungo il suo cammino. Il suo amico capì che Nafis era pensieroso e gli chiese se tutto andava bene. Nafis si soffermò, distolse lo sguardo da dentro di sé, dai pensieri in cui era immerso, e lo rivolse verso l’amico, all’esterno, lo guardò, apprezzò il suo interessamento e il suo sguardo preoccupato e luminoso; grazie a lui pose gli occhi in avanti e d’un tratto vide il meraviglioso paesaggio a cui non aveva fatto caso, mutevole ad ogni passo, diverso ogni volta che percorreva quella strada.

Gli rispose: “Grazie, vedo l’amore… l’amore della natura, e sto bene”.

L’amico sorrise pensando che Nafis scherzasse, che si riferisse alla ragazza, e gli disse:

“Ti sei fatto coraggio, bene”.

“Non è esattamente come pensi tu, ma in qualche

modo hai indovinato. Non ho paura, sono sempre circondato da amore, anche se talvolta devo ricorrere a tutto l’odio che ho per affrontare il male. Quello che sento per quella ragazza non è ben decifrabile, penso si tratti di forte affinità, che tuttavia sento di dover coltivare. Non capita tutti i giorni una cosa del genere”.

“Bello quello che dici, ma se al paese non la trovi, e la ragazza del flauto è un’altra persona?”.

Nafis rispose all’amico: “Le cose belle vanno apprezzate quando le troviamo; la bellezza è vivere bene il mondo intorno a noi, le emozioni, l’incontrarsi, vivere il silenzio in armonia, l’amore che riusciamo a vedere dentro e fuori di noi. Per il resto non voglio avere delle aspettative”.

L’amico rispose: “Ah, pensavo che tu scherzassi, ma il tuo pensiero ha davvero una bella logica; una logica che se applicata alla lettera potrebbe farci essere davvero felici”.

Nafis ribattè: “Certo, ma non è semplice, non basta questo, non basta l’ottimismo, non basta l’amore per la natura, per gli animali, per sé stessi, le cose o le persone, occorre mantenere le distanze dai pensieri tossici, dai sensi di colpa, dall’insicurezza, dalla paura, dall’ansia. Bisogna ripulire i propri angoli di cuore da certe persone dannose, bisogna evitare l’ipocrisia e riuscire ad andare avanti nella vita, anche con un pizzico di odio.

Sarò cinico, ma è quello che serve con certe persone e situazioni. 

Ti permette di difenderti, ti permette di non rispondere alle provocazioni, di coprirti le orecchie di fronte a quei soggetti pieni di sé, avvezzi solo a giudicare; ma non troppo odio, perché altrimenti rischi che ti pervada. 

Ciò per non cadere, o, se succede, per non rimanere per terra, per rialzarsi, l’unico modo è trovare la poesia nelle cose belle, quelle che incontriamo, solo quelle; è difficile sorvolare sulle nostre aspettative, ma se riuscissimo a farlo, potremmo vivere un sogno, e farsi avvicinare solo da chi sa sognare, dai poeti, dagli acrobati del possibile, persone che vivono quello che sono in cerca dell’impossibile. Persone così ce ne sono, creano un mondo unico, tutto loro, tuttavia reale, che potremmo vedere e vivere anche noi succeda quel che succeda con i nostri programmi”.

Così, parlando lungo il cammino, in mezzo agli olivi, passo dopo passo, i due filosofeggiavano come accadeva spesso, o ascoltavano il silenzio di quelle valli, quasi irreale da quanto era entrante e musicale.

I due amici erano arrivati alle porte delle mura del paese con i polmoni pieni di ossigeno ed entusiasmo.

Nafis si sentiva di nuovo impaziente, nell’attesa della festa medievale e dell’imminente incontro con Safaa, divenuta quel personaggio quasi leggenda in quelle valli, nei racconti degli ultimi giorni.

Erano motivati e di buon umore per aver condiviso e scambiato quei pensieri in quel cammino.

Nafis sentiva dentro di sé delle emozioni che non riusciva a decifrare bene, quindi ora camminava un po’ impietrito, e osservando i suoi passi sopra a un tappeto di foglie che li accoglieva optava per l’unica soluzione possibile, ovvero lasciarsi andare ad una totale spontaneità di fronte ad ogni possibile evenienza. 

Era lei, non era lei, era cambiata, stava bene, si ricordava di lui, era lì per lui oppure, semplicemente, era lì per il festival musicale? Ora ci era ricascato, ancora una volta non sapeva come fare a non pensare a tutto ciò.

Stava entrando in paranoia, nonostante tutti i suoi stratagemmi, percezioni, respirazioni, quando poi entrati nelle mura, con le porte fatte ad arco dalle quali traspiravano gesta antiche, presa l’unica strada dell’antico paese, e sentendo una musica dolce di strumenti antichi, d’incanto lo stress mentale ed emotivo svanì. Mentre avanzavano, sentivano il suono di violini, cornamuse, antiche chitarre e arpe che li stavano ipnotizzavano; poi chiacchiere, un brusio in sottofondo, soppiantato però da quelle melodie e da una strana energia positiva, che lasciava spazio agli altri sensi, e poi al settimo senso, all’immaginazione resa libera, mossa da quelle note musicali e da tutto quell’ambiente incredibile, incredibili le persone con lo sguardo sognante, la curiosità negli occhi, i sorrisi nei volti, l’amicizia che queste esprimevano, tutto mosso da un ritmo potente, lentamente, come un lieve rullio di tamburi, preludio di lì a poco di qualcosa di grande. In lontananza Nafis percepì un flauto dal suono antico, familiare e magico.

I due proseguivano il loro cammino lungo la via, ammaliati dalla potente atmosfera che cresceva passo dopo passo, e Nafis riuscì a distrarsi dai suoi pensieri; il suo passo era guidato da quel suono, il suo respiro era ora calmo e profondo, reso stabile

 

dalle molte attrazioni magiche che stavano popolando la strada annunciando l’arrivo con l’imbrunire di una mistica notte di festa.

Era affascinato dalle esibizioni di giovani artisti vestiti con abiti medievali che mostravano le loro abilità in antichi mestieri artigianali, giocolieri improbabili, bambini vestiti come giullari.

Continuava a camminare, senza volere attratto come da un pifferaio magico, con l’attenzione attratta da ogni cosa, ora stupefatto dalle lavorazioni eseguite con cura sul legno o sulla pietra da un ragazzo e una ragazza che parevano due Elfi delle montagne. 

Poi c’erano degli attori che interpretavano dialoghi poetici o di vita comune medievale nell’incontro in strada, tanto realistici da aver trasportato tutte le persone direttamente nel medioevo; sembrava tutto vero, e le musiche che udivano camminando li avvolgevano ancora di più, proiettando il tutto in un’epoca di cavalieri e dame, giullari, mercati, artigiani e giullari di corte, era come un mondo parallelo estremamente realistico da confondere le menti su quale fosse la realtà vera della loro vita. I minuti scorrevano in modo intenso e quel suono di flauto traverso si faceva sempre più vicino.

Nafis, rapito e attratto da tutta quell’ambientazione viva e totalizzante, rientrò ora in sé e si avvicinò ancora di più a quel suono di note magiche e antiche.

Quando giunse a dieci metri di distanza dall’artista, la guardò, lei era di profilo, con i lunghi e    lisci capelli neri che le coprivano il volto,  le scivolavano dritti lungo il viso, e spuntava solo il naso; allora fece tre passi cauti nel dubbio, ed era di nuovo in ansia, e ricco di aspettative inquietanti, di quelle che fanno paura, di quelle dalle quali sempre rifuggiva; poi riuscì appena a scorgere quei due occhi profondi, molto lucidi e assorti... era lei! I suoi occhi erano la sua carta d’identità...

   era Safaa.

Proprio in quel momento, come richiamata da un pensiero forte, lei si girò e i due sguardi esplosero in una fusione ed esplosione di energia, dando vita a colori boreali. Dopo interminabili attimi in cui gli angoli delle loro bocche e degli occhi si scrutarono intensamente scambiandosi segnali di saluto, pace e armonia, si mossero nella direzione del sorriso; lei gli lanciò il suo sorriso raro e sincero, ma lo fece continuando a suonare il suo flauto, mentre molte persone l’ammiravano e le facevano delle offerte nel suo cappello di panno grigio. Si guardarono fissi per un po’, e Nafis si stava perdendo nella sua musica e nella sua immagine; anche il tempo si stava perdendo, perse del tutto il suo significato, quello di scandire il cambiamento, e si fermò.

Da una situazione di fine pomeriggio fatta di dubbi, di pensieri, di filosofia e razionalità solo per combattere l’ansia, Nafis si ritrovò immerso in una situazione di gioia ed euforia notturna mai vissuta prima.

Iniziò a ballare e così fecero le altre persone al seguito della musica di Safaa, come faceva anche lei stessa; si contorceva a rincorrere il suo flauto, che cercava di sfuggirle di mano trotterellando come un ballerino, e così stava ammaliando e trasportando tutti i presenti; suonava e ballava, con le gambe nude e i calzettoni, sgambettando.

Fu così che la grande festa ebbe inizio.

Safaa e altri musicisti suonarono musiche antiche e ballarono in giravolte, l’uno intorno all’altra come satelliti intorno a pianeti, ad occhi chiusi, e quando li aprivano si incrociavano, poi si avvicinavano e si appalesavano, poi si allontanavano di nuovo, quindi richiudevano gli occhi, muovendosi in girandole asimmetriche, volteggiavano in danze ancestrali, erano sciamaniche, ogni persona in totale simbiosi con le altre, in una sfera di energia unica, una festa che non si era mai vista. Ogni partecipante era come inghiottito da questa sfera che avvolgeva tutti i presenti, come attirati da un bagliore, varcato il quale entrava in una differente dimensione, fatta del suo stesso splendore, che godeva di energia propria, e viaggiava nel proprio universo infinito.

Safaa era contenta di aver ritrovato inaspettatamente Nafis, fuori dai suoi piani, fuori dai suoi panni, quasi per caso, e la sua mente era adesso come un mare calmo con dolci brezze che lo accarezzavano, che non erano altro che i suoi pensieri liberi creati dall’energia di quel presente infinito, non descrivibile, se non con l’immagine della pace dell’universo con tutte le sue stelle, ognuna potente, ognuna con la sua funzione in quella sfera magica. Per poco in quel vagare tra stelle e volti cari, la sua mente tornò al volto dell’anziana nonna materna, che inaspettatamente dopo un abbraccio non rivide più, le sorrideva lontana, dalla sua poltrona, che volava e la raggiungeva, proprio lì, proprio in quel momento. La riabbracciò stretta in un lungo ballo e poi se ne andò con un sorriso negli occhi. Poi la sua mente passò al volto di Soraya, chissà dov’era, chissà come stava, chissà cosa pensava?

Aveva lasciato che andasse via, non si era preoccupata di offrirle un concreto aiuto, se non misere parole. Ballando e suonando a occhi chiusi, forse evocava, in quel suo infinito vagare con la mente, di essere vicina anche a lei, dandole il calore che poteva, il calore che lei chiedeva.

Quando la luce della luna cominciò a calare, Safaa rallentò il ritmo del suo suono del suo flauto fino a fermarsi, e con Nafis si misero a sedere, come tante altre persone che non pensavano proprio di andarsene via, se non di continuare a contemplare insieme quel momento infinito, e ascoltarono insieme il silenzio che ora li stava inondando, come un manto di velluto, completamente liberi da qualsiasi turbamento, proprio come in una vita nuova, rinnovati, e ritrovati, esausti ma ricchi di calore ed energia da vendere.

Nafis e Safaa bevvero dell’acqua e guardandosi capirono che il tempo da quando si erano separati era come se non fosse passato; la loro memoria era a quel giorno seduti sugli alberi a cinguettare, e dopo essersi detti nello stesso istante: “Maaah”, si alzarono e raggiunsero Quercia attraverso una strada buia, ricca di voci antiche, l’abbracciarono, poi sistemarono subito i loro sacchi a pelo accanto a lei. 

Si stesero, osservarono insieme le stelle, e dopo un po’ si dettero la buona notte.

Con la mente entrarono in quell’universo libero, calmo, luminoso, fatto di pace, di energie andate e amiche, quello spazio in cui avevano vagato e ballato fino a poco prima. E si persero in un attimo, in un sonno profondo, per poche ore, insolito, intenso, sino all’alba.

Riaprirono gli occhi, di colpo, nello stesso istante gli uni addosso agli altri, si scambiarono quello che sentivano dentro, tutta la gioia, la bellezza e unicità del posto in cui si trovavano, sotto un’antica rocca circondati da colline. Lì si erano ritrovati grazie alle loro coraggiose scelte, e testardaggini, attraverso percorsi separati ma simili, traversie e tristezze passate e abbandonate, ora erano lì, insieme a stirarsi e a fare il punto di quello che stavano vivendo. Safaa disse a Nafis, come per lei quel suo viaggiare fosse stato rivelatore di tante cose, e soprattutto osservò la puntualità dell’arrivo delle cose buone per lei dall’universo, ma ciò avveniva solo quando riusciva ad essere libera con la mente e in pace con il tutto. Nafis le disse che per ascoltare l’universo doveva andare a sciacquarsi il viso alla fonte, allora Safaa gli tirò dietro il suo cappello ridendo, e dicendogli: “Vedrai che un giorno capirai”.

Nafis le fece un sorriso.

Aveva capito. 

S’incamminarono a passo spedito con accanto

Quercia verso la casa di Nafis, lasciandosi alle spalle il paese, adesso silenzioso e dormiente. La strada bianca che percorrevano correva sul crinale di una collina circondata da boschi e valli, la stessa percorsa il giorno prima da Nafis, ma all’alba e in senso inverso era tutta un altro mondo; ascoltavano i rumori della natura che si stavano risvegliando, camminavano a passo deciso con l’umore alto. Si erano rincontrati e avevano entrambi il desiderio di passare un po’ di tempo insieme. Giunti a destinazione dopo tre ore di cammino e di salite, Safaa rimase incantata da quella casetta circondata da un grande pratino, querce e magnolie, e un panorama mozzafiato su una grande vallata e sui monti; lasciò andare lo zaino e con il viso immobile e gli occhi brillanti rimase impalata a guardare quell’orizzonte, mentre Nafis si apprestava ad accendere un fuoco. Mise in una padella un bel pò di castagne; erano affamati. Quando cominciarono a sbucciarle e a mangiarle tornò ad entrambi la parola, che fino a quel momento era rimasta custodita nella scatola delle sensazioni della trascorsa notte, solo da doversi rivivere per qualche ora per fissarla nelle loro menti. Adesso con quelle calde castagne ristoratrici cominciavano a rientrare nella consueta razionalità e a sorridere commentando le gesta di quella notte unica.

Nafis disse a Safaa: “Non immaginavo che tu sapessi suonare il flauto così bene, sei riuscita a scuotere tutte le persone e a farci ballare tutta la sera! E’ stato bello, e anche incredibile, non era un ballo normale, sembrava un rituale sciamanico che tutti conoscevano; com’è possibile?”.

Safaa sbucciando una castagna disse a Nafis che quella sera di luna piena aveva attirato persone simili, ricche di energia vitale e predisposte allo scambio, col cuore aperto all’amore. Nel suo viaggio era in cerca di qualcosa di grande, e questo forse si era verificato quella sera trascorsa. Lei voleva riappropriarsi della propria anima, smarrita in un passato insensato, ma allo stesso tempo stava cercando di comprendere l’anima delle altre persone, quelle migliori, quelle che hanno voglia di dare qualcosa di sé stesse e di ascoltare qualcosa dagli altri, quelle persone che standoti vicino, ti arricchiscono, ti danno energia e conoscenza. Questo era successo quella notte, in modo esponenziale, in una sorta di incantesimo incredibile, tutti erano predisposti allo scambio: ecco che era iniziato un rito. E continuò: “Sono molto contenta di questa esperienza e della mia decisione di mettermi in viaggio, così, senza una regola precisa; prima di partire mi sentivo di morire”.

“Come?”, le chiese Nafis.

“Vedi”, disse Safaa: “Ciò che non cresce, necessariamente decresce e muore; io stavo appassendo a causa di certe persone che mi circondavano, i vampiri di energia, persone che provano solo gelosia, invidia, che mi sminuivano e consumavano, che non gioivano dei miei risultati, ma neanche dei loro, persone attente solo a frenare e a mettere in dubbio ogni possibilità altrui di crescita. Giocoforza, se fossi rimasta in quell’ambiente familiare poteva arrivare solo il mio declino.

Nafis rispose a Safaa: “Ti capisco, e hai fatto la cosa migliore ad andartene; quando certe persone maledette ti ruotano intorno e vogliono un rapporto con te, devi assolutamente fuggire via; i loro valori sono solo il giudizio e il dominio sugli altri, principalmente su chi è loro vicino, per riversargli addosso solo le loro frustrazioni. Vogliono starti vicino per provare gioia dietro ad ogni tuo fallimento, si nutrono delle tue disgrazie”. Safaa esclamò: “Sì mi piace la tua definizione: penso sia appropriata: ‘i maledetti’; molti di loro si disinteressano di ogni forma di spiritualità Dicono di professarsi religiosi, ma non credono nella spiritualità, non ne rispettano gli elementi, ne sono del tutto privi. Per la nostra salute, ma anche per il benessere generale, occorre tagliare i ponti con questi individui, anche se si tratta di parenti, e prendere la propria strada indossando una sfera che ci protegga da essi.

“Ci dobbiamo rassegnare,” rispose Nafis, “di queste persone ce n’è almeno una in ogni famiglia, una in ogni gruppo. L’importante è saperle riconoscere in tempo per mettere in atto le difese necessarie, o per scappare”; Safaa aggiunse: “Sono vampiri delle emozioni, uomini e donne che appaiono del tutto normali, ma che in realtà sembrano avere un unico scopo nella vita: accaparrarsi cose senza diritti e godere dei naufragi altrui. Il soggetto più pericoloso è quello che ti si avvicina e mente per raggiungere i suoi scopi, non lo preoccupano né i sentimenti né i diritti altrui. Il modo migliore per riconoscerlo è fissarlo bene in faccia; 

ogni suo muscolo è immobile, non esprime alcuna emozione, anche perché non ne prova affatto”, dopo un po’ di silenzio mentre i loro occhi brillavano con il fuoco. Safaa aggiunse: “E poi dovrai anche affrontare una grande delusione che ti trafiggerà il cuore se nei suoi occhi intravedi odio, odio incontenibile, odio mosso da rancorosa gelosia. Un dolore, quello di essere odiati, al quale non si può rispondere con altro odio, cadendo nella loro trappola; per evitare di andare avanti in rapporti deleteri e svilenti fino al profondo, possiamo solo fare una cosa: chiudere ogni contatto con queste persone. Il dramma è che l’odio oggi è anche stato sdoganato in recenti pubblicazioni di autorevoli personaggi che autorizzano a odiare i diversi, gli omosessuali, gli immigrati, libri che sono un ammasso di bestialità, ma che sdoganano l’insopprimibile diritto di odiare.

C’è da dire che, in fondo, queste pubblicazioni sono anche utili perché ci permettono di capire che l’odio, per certe persone, è un istinto insopprimibile, che provoca a loro stesse problemi interiori ingestibili. Persone non curabili e pericolose, da cui rifuggire.

Al che Nafis aggiunse: “E gli invidiosi dove li metti?”. “Eh si”, rispose Safaa “gli invidiosi rimuginano senza sosta su quello che gli altri hanno, dai beni materiali, alla personalità, quindi vorrebbero solo farli sparire dalla faccia della terra. Cosa impossibile, ma il pericolo più concreto è che possano attuare il loro obiettivo di distruggere gli invidiati maltrattandoli verbalmente, seminando pettegolezzi diffamanti, sminuendo ogni loro conquista”. 

Nafis aggiunse: “C’è anche da dire che chi prova invidia non lo ammette. Si può ammettere di essere gelosi, o di farsi prendere dall’ira ma non di essere rosi dall’invidia, l’emozione negativa più rifiutata, perché racchiude elementi deplorevoli: il dover ammettere di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro.

Paradossalmente le persone invidiose spesso sono proprio quelle che ci sono vicine e a cui vogliamo bene, come i compagni di classe, amici o fratelli; l’uguaglianza di opportunità rende doloroso l’essere inferiori rispetto ai successi di un fratello o una sorella. Chi è invidioso soffre molto e non capisce il perché di questa sofferenza che gli bolle dentro, potendo arrivare a fare del male per contenerla.”

“Sì Nafis, l’invidia è potenzialmente pericolosa, ma non dimentichiamo il pettegolo maldicente, specializzato nel creare malcontento nell’ambiente intorno a te. Con le sue indiscrezioni può compromettere la tua immagine e i tuoi rapporti sociali, familiari e professionali, senza peraltro trarne alcun vantaggio. Anche qui, l’unica difesa è tenersene lontano e non raccontargli mai nulla!”.

Nafis annuendo disse all’amica: “Dobbiamo però ammettere che quasi tutti noi partecipiamo alla diffusione dei pettegolezzi, quantomeno per commentarli. Un po’ di autocritica è utile per non diventare tossici a nostra volta.”

Safaa rispose all’amico: “E’ vero Nafis, nessuno va esente da colpe se contribuisce ai pettegolezzi sugli altri.

Penso adesso che occorra concludere il discorso passando in rassegna la persona peggiore: l’umiliatore, colui che gode nello sminuire gli altri, che si gira dall’altra parte davanti alle parole della sua vittima destabilizzandola emotivamente; colui che cerca di fingersi amico, sostiene di voler aiutare, ma in realtà raccoglie informazioni sui suoi difetti per poterla mettere in cattiva luce agli occhi altrui. Anche questo tipo di persona va allontanata, prima che commetta troppi danni. Ho assistito spesso in passato a comportamenti del genere, e la cosa non è affatto piacevole. Non so come, ma dopo aver subito alcune delusioni, e dopo aver avuto, talvolta, reazioni scomposte, sono riuscita a fermarmi a riflettere e a cercare di capire e riconoscere le persone vuote, prive di altruismo, di capacità di amare, ricche di sguardi valutativi e di invidia: tutto, fuorché umanità. Del resto la scheda tecnica dei valori di certe persone funziona così, è immodificabile, fatta di confronti e opportunismi, e io non posso certo divenire come loro per starci insieme a intossicarmi l’anima. Non si possono che allontanare, a costo di rimanere soli; almeno, adesso che ce l’ho fatta, ho ripreso a vivere, assaporando la mia libertà, senza alcun giudizio e ostilità sulle mie spalle.” “Brava, sei grande”, le disse Nafis “o stai sola o frequenti soltanto chi ti dà spontaneamente calore e ti riempie di luce e gioia, chi ti dà la sua stima e interesse per ciò che sei; ciò è vitale al di sopra di ogni cosa, e al di sopra di ogni legame familiare”.

Lei sbucciando e sgranocchiando quelle grandi castagne bruciate, disse:

“Questo mio viaggio con Quercia parte da una fuga da un luogo dove le mie ali, la mia fantasia e voglia di vivere stavano bruciando non certo in modo dolce come queste castagne per essere apprezzate; si è presto tramutato in ricerca, ricomposizione, un ritrovarmi, un vivere al meglio me stessa, la natura, e le persone che incontro oggi, che adesso mi arricchiscono davvero e mi danno gli stimoli necessari per andare avanti. Direi che più di fuga si è trattato di una scelta: quella di vivere.”

Lei era fiduciosa del suo cammino; adesso il destino, una volta che camminava sicura, le poneva davanti sempre nuovi sentieri e persone luminose, adesso era lei a scegliere, sempre tra opzioni positive. Adesso il suo cammino era positivo, notava cose che prima non riusciva a notare, sempre un fiore davanti a sé, le rondini che cantavano, e si soffermava a contemplarle. Erano piccoli particolari che le parlavano del miracolo della vita.

Nafis ascoltava le sue parole osservando le castagne che arrostivano, e i suoi pensieri scorrevano riscaldati dalla brace che scoppiettava nei suoi occhi chiari, facendoli brillare; era tutto un sussulto di pensieri spontanei, che adesso però s’incontravano tutti verso un unico risultato: quello di vedere le castagne aprirsi e pronte per essere toccate, pur caldissime, bruciate, per essere sbucciate, con frenesia e impazienza. 

Quello che invece bruciava negli occhi di Safaa era l’ostilità sopportata in passato, che bruciava e svaniva, ora soppiantata dal solo amore. Così lei descrisse il suo cambio di passo, mentre rompeva in due una castagna bollente incurante delle sue dita scottate, espirando fortemente a denti stretti: amore che adesso emergeva ogni mattino di fronte a ogni particolare che incontrava, e che si materializzava davanti a quella brace scoppiettante e a quelle castagne  bruciate che faceva  fuori una ad una con bocconi arditi incuranti del calore, masticandole piacevolmente e in modo buffo, con la compagnia di Quercia e di quel nuovo compagno che aveva ben compreso le sue scelte, e col quale adesso sorrideva delle passate sventure e si confrontava sui nuovi piani da intraprendere, forse comuni.

Entrambi guardavano le castagne cuocere, senza dire più nulla. Quercia si avvicinò e sbuffò tra i due amici umani, come se volesse partecipare al loro silenzio meditativo di fronte alla brace che fremeva pensieri e sentimenti; lei non aveva bisogno di parole, tutto sentiva e voleva star loro vicino e condividere. Ora erano tutti e tre davanti a quello scorrere di scoppiettii con la mente del tutto aperta ad ogni frammento del tutto: uno scoiattolo, una coccinella, una formica che camminava sulla mano di Safaa, persino un ragnetto, e poi le sue rondini.

Tutto era vita, come le energie presenti intorno a loro, tra di loro, che ascoltavano in silenzio; percepivano tutto e anche gli alberi tutt’intorno parlavano prepotentemente loro donandogli il loro ossigeno, la loro ombra e la loro esperienza secolare, la loro maestosità senza nulla chiedere indietro. Non solo: con i rami puntati al cielo e le radici ben piantate a terra offrivano loro una totale percezione del perfetto equilibrio tra materia e spirito.

Passarono le ore, avevano fatto una scorpacciata notevole, mentre Quercia si era rifocillata di avena portata dalla nonna appositamente per lei. La loro soddisfazione era totale e si manifestò, dopo essersi stesi a guardare il cielo sopra le foglie dei grandi alberi, con le palpebre che si chiusero su quella lunga giornata, e con le mani raccolte sulla pancia.

Dopo il lungo pisolino collettivo, Nafis preparò un buon tè che assaporarono su una panchina di fronte alla immensa vallata e, lì, ascoltarono le parole di quel polmone verde, parole fatte di un silenzio lineare e pulito, scandito solo da note di qualche uccellino qua e là, come fosse un grande spartito celeste che veniva riempito da quei magici suoni.

Dopo quel sipario calato sui discorsi del passato, ora i due ragazzi, con quell’immensità che avevano davanti, erano proiettati sul futuro, e Nafis aprì questo futuro dicendo: “A ottobre mi piacerebbe iscrivermi a psicologia, ma ciò comporta trasferirsi in città; non mi preoccupa tanto la carenza di denaro, potrei mantenermi agli studi vendendo le mie castagne al sabato in centro; di fatto è quello che faccio qua, e vendendole in città guadagnerei anche il doppio e potrei studiare. Ma poi chi mi restituisce il mio bosco, la natura e la sua forza? Il problema è che i sogni vanno rincorsi e attuati, mai abbandonati. Quindi penso che lo farò, ho ancora 6 o 7 mesi a disposizione per stare nel bosco con i miei animali e i miei amici per viverlo, ho mia nonna che tutte le sere mi aspetta per mangiare insieme, e li vorrei passare qua con lei. In ogni caso, tornerò spesso a rifornirmi di castagne e di linfa vitale”. Safaa, al che, disse all’amico: “Certo, ne avrai molto bisogno, la città con i suoi mille umori e rumori, luci ed energie sconnesse, dislessiche e sommerse, è abbastanza destabilizzante; ma so che tu ce la farai e non ti accorgerai neanche delle cose negative che ti troverai davanti, ne sono sicura.”

“E tu che farai?”, chiese Nafis.

“Mmmhhh, non ci ho pensato, per il momento il mio futuro lo sto vivendo proprio adesso. Sono molto contenta di essere finita in questo posto, sono entusiasta della serata di ieri e di essere qua con te e Quercia; domani si vedrà; non è ancora finito questo momento, per cui non ci penso proprio, sto vivendo esattamente qui ed ora”.

“Cavolo, hai ragione! Io non mi soffermo troppo sul presente, e so che sbaglio, penso subito al prossimo passo; il punto, come dici tu è che lo devo fare e basta, senza tanti tentennamenti, e senza dimenticare di vivere al massimo il presente; guarda!

Questi ultimi mesi in questo posto meraviglioso penso che li passerò a costruire una casetta di legno sotto a quel vecchio acquedotto romano non più funzionante; questo è il mio progetto: lì in alto, attaccata all’arco dell’acquedotto, costruirò una tettoia, con delle travi che scendono giù, fino a poggiare su travi verticali, poi metterò ai lati delle vetrate, e realizzerò una stanza meravigliosa dove     passerò il  mio tempo  a  studiare e a pensare”.

“Che meraviglia!”, esclamò Safaa “ecco, questa tua fantasia nel progettare cose, nel vedere il tuo futuro, è un dono da tenere stretto. Io non so dove mi vedo nel futuro, vivo solo il momento presente; e già ascoltare i tuoi sogni e progetti è una grande cosa che mi riempie il cuore e lo spirito, senza considerare che qui ci sarà sempre un posto meraviglioso e un amico; ho bisogno di punti fermi, e sapere che qui ho te mi fa sentire sicura e viva tanto quanto basta per poter continuare il mio viaggio”.

Nafis si alzò e girando intorno a Quercia andò davanti a lei accarezzandola, poi disse:

“Beh, positivo il tuo modo di agire; adesso tu sei dentro ad un viaggio, hai una grande amica che ti sostiene e ti sta accanto, ci sarà stato un momento in cui il viaggio lo hai progettato? Io sto cercando di progettare qualcosa, ma allo stesso tempo sono sull’orlo di un burrone, potrei cambiare idea all’ultimo momento, potrebbe succedere qualcosa che mi fa deviare, il mio cammino è in fase di elaborazione, ancora non ci sono dentro come te. Quando ci rivedremo, e nel bel mezzo di una full immersion di dialoghi profondi, con l’aiuto di Jung, forse parlerò come te, più chiaramente, forse vivrò quel senso di libertà che vedo ora in te e che non riesco a non invidiarti”, disse con un sorriso sulla bocca.

“Tu vuoi entrare nel discorso della psicologia, forse è necessario per me; purtroppo sono sempre fuggita da essa, e il mio cammino attuale è tutto fatto di ricerca in solitaria, introspettiva, esplorando me stessa, ma non solo… nella natura insieme a Quercia e grazie a lei, così facendo riaffiorare i miei mille turbamenti, come fanno i fiori in primavera, semplicemente vivendo, con due gocce d’acqua; ma tu non puoi capire”.

Nafis si sedette su un ceppo di fronte a lei e rispose dicendole che era serio parlando di immersione totale nella psicologia, perché era quello che desiderava approfondire, avendo comunque esso stesso tratto molti insegnamenti e stimoli dalla natura e dal ragionamento in solitario; ma Safaa gli rispose:

“Non mi convinci, tu non hai bisogno di studiare psicologia, dovresti organizzare invece delle escursioni nei boschi con visitatori da tutto il paese e trasmettere al mondo le tue segrete conoscenze di questi luoghi che sembrano conchiglie luminose in fondo al mare, che nessuno riesce mai a vedere: il segreto degli alberi, il loro rispetto, quello per gli animali, la forza che tutto questo ci dona, va oltre.”

“Eh già, ci penserò, anche questa è un’idea interessante, a cui non avevo pensato”, rispose Nafis mentre schiacciava l’ultima castagna ormai tiepida, ammirandone attentamente il cuore, come se racchiudesse tutto il mistero degli alberi, con scritta l’idea di Safaa.

Era quasi fredda, ma non potette fare a meno di mangiarla a pezzettini per cercare di scoprirne l’intrinseco significato.

Poco a poco si fece sera. Erano ancora provati dalla notte precedente e andarono a dormire nella stalla, sopra a dei massi di paglia, dove si coprirono con delle coperta di lana, con Quercia vicino a loro che già si riposava da tempo. Si dissero appena: “sogni d’oro”, prima di crollare col pensiero diretto al risveglio, ad una lunga camminata insieme al mattino, queste furono le ultime parole: “Camminare, camminare, camminare”. Non sapevano se era l’ultima loro giornata insieme e per questo motivo l’apprensione li rendeva molto uniti; i loro battiti erano forti e battevano all’unisono, come se avessero parlato dell’unica avventura che avevano di fronte in quel momento, al di là di ogni precedente proposito. Ogni progetto passato ora non contava più nulla, contava solo il buon riposo in quella piccola stalla, sprofondati nella paglia, avvolti nelle coperte, confortati dal respiro di Quercia, da un silenzio primordiale e dalle stelle.


A breve la pubblicazione del cap. n. 8 "La partenza"



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