Cap. 8 "La Partenza" - La Ragazza che abbandonò il destino di Alessandro Niccoli - PortoSeguro Editore 2023
- Alessandro Niccoli
- 9 feb
- Tempo di lettura: 11 min

8
La partenza
L’alba era arrivata su di loro come un sipario che si apre su una nuova vita. Si erano sistematati velocemente, avevano dormito vestiti, avevano preparato gli zaini, acqua e provviste. Fecero colazione insieme alla nonna di Nafis, su un tavolo di legno d’olivo massiccio sotto ad un portico che si affacciava sulla grande vallata. Durante il pasto di fronte ad un’alba che parlava loro con colori che andavano dall’arancione al celeste e un silenzio ovattato dalla brina, la nonna di Nafis disse ai ragazzi: “Mi ricordate i tempi della mia giovinezza e l’entusiasmo che mettevo al mattino quando alla vostra età, in tempo di guerra, partivo presto con le provviste e i messaggi da portare ai soldati, nascosti per proteggere la nostra terra e tutto il Paese dagli invasori. Quello era un tempo in cui i giovani avevano dei grandi obiettivi che volevano realizzare ad ogni costo, senza paura di perdere la propria vita per dei valori, valori che erano sacri, primo tra tutti un futuro certo per tutti. Il cuore batteva forte al mattino quando partivo, l’alba mi pungeva e mi gridava di andare e cantare. Adesso in voi sento qualcosa di analogo che vi spinge: voglia di ricerca, di indagare per poter raccogliere nuove verità e certezze, per voi e per gli altri. Vedo un analogo fine: un futuro migliore”.
I due ragazzi continuavano piano la loro colazione mentre la nonna parlava con tono caldo, erano attenti e aperti all’ascolto, presenti; le sue parole entravano direttamente nella loro pelle.
Loro erano in cerca di qualcosa da scoprire, da vivere, da raggiungere, ma non sapevano ancora esattamente cosa. La nonna continuava a parlare schiarendo loro le idee sulla grande vallata, e aprendo il loro respiro ad essa, come se ad ogni inspirazione questa si ampliasse, diventasse più grande e piena di vita, “Perché oggi c’è una guerra subdola, strisciante, fatta di sfide sconosciute che vanno anch’esse combattute, ma che molti non riescono a capire né a vedere, arrivando a vivere come morti viventi. Queste sfide vanno per forza riconosciute, in modo che possiate difendervi, per difendere il presente e il futuro, e ciò può essere fatto solo attraverso il recupero di antichi valori andati persi con lo scorrere inesorabile del tempo; valori che paradossalmente sono sempre i soliti, ma oggi nascosti dietro differenti spoglie quelli fondamentali che l’uomo aveva appreso nei secoli, ma che la società attuale sta spazzando via soppiantandoli con i disvalori del consumismo. Le sfide per recuperarli vedono le odierne armi, sconosciute dai più, fatte di elementi rari: la pace, la modestia, il risparmio, la ricerca della libertà per vivere secondo le proprie aspirazioni, per la conoscenza, per il rispetto della natura, che è colei che ci fa vivere, la nostra casa, il rispetto per gli animali, nostri fratelli, perché figli della stessa madre, madre natura. Poi la ricerca di voi stessi, per difendervi e difendere questi tempi che chiamiamo moderni, ma che sono colmi di errori, di orrori e di lati oscuri, di incertezze enormi sul presente e sul futuro, grandi quanto il pericolo della perdita della vita e della libertà, proprio come ai miei tempi.
Ora siete voi che dovete portare avanti queste ricerche per il vostro futuro e per quello di tutti. Voi che riuscite a sentire l’energia e la potenza della natura che chiama. Le battaglie di oggi sono difficili da individuare, per questo dovete ascoltare voi stessi, e per farlo, il recupero dell’ascolto della natura è di fondamentale importanza. Sono sicura che il vostro viaggio vi porterà verso grandi e positive verità”.
Safaa e Nafis si commossero, dettero un bacio alla nonna sulla fronte, poi l’abbracciarono e lei sorrise con un bagliore negli occhi, lacrime di rugiada, occhi celesti di ghiaccio ma caldi che scioglievano la brina.
Lei si sentiva parte del viaggio di Nafis e di Safaa, si sentiva di nuovo giovane, in una nuova guerra da combattere e da dover vincere ancora una volta, ma questa volta non la sua, non da combattere sul campo di battaglia, ma da combattere in una diversa consapevolezza, ma una medesima coscienza attraverso quei due ragazzi.
Il cammino di Nafis e Safaa ebbe inizio.
Dopo quell’abbraccio forte e ricco di emozioni, che erano come cartucce caricate per le nuove battaglie per il nuovo mondo da reinventare.
I due ragazzi e Quercia imboccarono un sentiero che passava attraverso un bosco, era un’antica strada bianca che correva lungo il crinale di quelle colline. Sulla destra camminava Quercia, al centro Safaa e sulla sinistra Nafis; camminavano tutti e tre allo stesso passo, in silenzio, sembrava una marcia per conquistare qualcosa: un nuovo mondo. Ora erano in viaggio, vedevano la terra che scorreva sotto i loro piedi e i paesaggi che cambiavano, colline, boschi, immensi panorami. Percepivano quello che stando fermi non è possibile percepire in pieno: la madre terra che parla, la meraviglia più segreta e nascosta della natura, spietata solo quando non l’ascoltiamo; l’uomo contemporaneo la offende, non la teme, non la venera da almeno un secolo.
Dopo mezza giornata di cammino sentivano già di essere nel pieno del viaggio e dell’avventura, quindi si fermarono per dissetarsi e riposarsi un po’ in un grande prato sulla riva di un ruscello, dove Quercia si dissetò per lunghi minuti; beveva in silenzio e trasmetteva loro una sensazione di pace. Dopo mezz’ora di riposo si avvicinò a loro una famiglia di cinghiali, i due capibranco avevano un fare alquanto minaccioso, la femmina si avvicinò ad una distanza di allarme. Quercia percepì il potenziale pericolo per i suoi amici umani e si mise in allerta, con il collo teso e le orecchie in avanti a cogliere ogni segnale. Per lei quegli animali non erano un pericolo, e nemmeno lei per loro, ma forse per Safaa sì. La ragazza si avvicinò a Quercia a passo lento e puntò anche lei il cinghiale rimanendo in silenzio. Nafis disse loro sottovoce ma con vigoria: “State immobili.”
Il cinghiale iniziò a correre nella loro direzione, Safaa rimase ferma, immobile con tutta la sua forza nel cuore e nella testa, ferma, tesa e sicura. Quercia rimase anche lei impalata; la minaccia del cinghiale, dopo una rincorsa di circa venti metri nella loro direzione era ormai una certezza assoluta; Safaa decise ancora di non spostarsi, avrebbe potuto correre dietro a un albero per eludere il pericolo ed evitare di essere colpita, ma si fidò del suo istinto e rimase ferma puntandola con gli occhi. L’animale era ormai vicinissimo, e se l’avesse colpita probabilmente l’avrebbe uccisa; quando il cinghiale era a forte velocità, ormai a tre, quattro metri da loro, e lo sguardo di Safaa era impietrito, due fanali resi fosforescenti dalla luna, improvvisamente e inspiegabilmente per lei, il possente animale rallentò il passo e cambiò direzione, andandosene tranquillamente. Safaa tirò un sospiro di sollievo e si accasciò a terra con le ginocchia, ora tremanti, anche se sapeva che probabilmente era solo un’azione di mobbing, e confidava nell’imponenza di Quercia che le stava accanto ferma. Era stata un’azione tipica in natura da parte di molti animali, messa in atto solo per intimorire chi invade il territorio, e in questo caso, quello del cinghiale era stato proprio un avvertimento di stare lontano dai suoi piccoli.
Safaa dopo alcuni sospiri, rivedendo davanti a sé gli occhi decisi di quel cinghiale che puntavano i suoi, lo vedeva adesso diventato un importante elemento di potente comunione tra lei e i boschi circostanti; tornò a sedere vicino a Nafis e gli disse: “Questa esperienza da brivido mi ha ridato la forza che avevo dimenticato di avere. Tu sapevi che non sarebbe successo nulla?”
Nafis rispose: “In realtà ne ero sicuro, dato che avevo immaginato la tua reazione, ma se questa fosse stata scomposta avresti rischiato la vita.”
Safaa rimase un attimo in silenzio, poi sorridendo disse a Nafis: “Grazie del grande aiuto… di meglio non potevi fare.” Lui le rispose: “Eh si, la vita è questa, non ci sono vie di mezzo, spesso le decisioni sono immediate, spontanee, proprio come quelle degli animali: o stai fermo e ascolti al massimo tutto quello che succede o fuggi.
O muori o vivi”
e rise,
risero entrambi.
Si stava avvicinando la notte e a quel punto, visto che la postazione in cui si trovavano era riparata, ormai che i cinghiali avevano preso confidenza con la loro presenza, che li avevano accettati, Safaa disse che le sembrava opportuno rimanere lì a passare la notte. Così fecero; montarono la loro tenda e colsero delle erbette lungo il ciglio del ruscello che Nafis conosceva bene per essere molto buone e nutrienti; le bollirono con un fornellino e condite bene con olio, sale e limone, iniziarono la cena quando stava iniziando il tramonto, mentre Quercia pascolava poco distante, tranquilla ma sempre all’erta.
Safaa aveva disegnata sul volto e sulle sue labbra bagnate una lieve curiosità e soddisfazione per quelle erbette all’olio e limone, e se le mangiava con una leggera ruga di sorriso sulla bocca, i suoi occhi erano persi dentro a quella pietanza, dentro il succo di limone che le bagnava, e ogni due bocconi diceva a Nafis: “Poi mi insegni… poi mi insegni a trovarle.”
Nafis le rispose di sì, ma a patto che lei gli costruisse un flauto come il suo, poi le disse: “Certo che ti vedo molto diversa rispetto a quando ci siamo conosciuti, sei molto più tranquilla e sicura, mi sembri davvero serena adesso, un’altra persona. Non che prima fossi inferiore, ma forse eri un pochino in ribellione con chiunque, senza un obiettivo preciso.”
Safaa rispose guardando Nafis negli occhi: “Sì, in parte, adesso sono più serena per aver preso la vita nelle mie mani, e per le esperienze che mi capita di vivere ogni giorno in questo percorso. L’altra notte al paese è stato molto bello, un’esperienza quasi mistica, tutto era magico, il tempo si era fermato mentre ballavamo e suonavamo, mi sembrava di vivere un sogno, un’altra dimensione, dove il mio spirito si arricchiva di forza e calore. Mettici anche che ho guadagnato qualche soldo per affrontare il prossimo mese e tutto è stato davvero perfetto. Più avanti dovrò preoccuparmi di come mantenermi per vivere, ma si vedrà più in là, adesso non ci voglio pensare. Per il momento ho di che vivere, e poi guadagnerò di nuovo qualcosa come l’altra sera, non è impossibile.”
Nafis annuì, e ribadì all’amica che in ogni caso, se avesse avuto problemi, lui c’era e anche sua nonna, le disse che si sarebbe potuta appoggiare da lei, tanto più che era sola e aveva anche bisogno di aiuto per la raccolta delle castagne e per fare le marmellate “Così potrai aiutare anche me, visto che le venderò al sabato in città”.
Lei rispose: “Perfetto, hai sempre la soluzione in tasca, sicuramente ti terrò in considerazione, e in ogni caso la cosa mi dà sicurezza.”
Si fece buio, erano sdraiati sui loro sacchi a pelo, rimasero in silenzio, in ascolto della musica dei grilli e della luna; Safaa espresse a Nafis un ultimo pensiero: “Penso che ieri sera ho vissuto per la prima volta.
Vivere vuol dire dare spazio alle proprie emozioni e fragilità, e suonando l’ho fatto. In un’epoca in cui le esperienze sono ridotte ad oggetti da condividere e subito dimenticare, la vita acquista senso quando riesci a cogliere il tempo che si ferma, il mondo che smette di muoversi e il rumore di fondo che svanisce, lasciandoci in uno stato di grazia. Ciò rappresenta l’essenza profonda della vita e quando hai vissuto uno di questi momenti puoi dire di aver vissuto veramente e ambire a costruire te stesso, la vera ricchezza, il tuo talento, senza bisogno di essere continuamente in lotta con il prossimo.” Nafis pronunciò appena un flebile “sì”, che il discorso di Safaa si perse nella notte, la stanchezza della giornata d’improvviso li prese entrambi, si avvicinarono l’un l’altro su quelle parole, e queste, forse perse, forse dimenticate, ma di sicuro cemento, quasi inconsapevolmente, avvolsero le loro menti ora vicine, e anche lontanissime, ognuna attratta e persa dal proprio universo.
Il mattino arrivò in un attimo, prima dell’alba si dettero il buongiorno e Safaa andò a sciacquarsi il viso e a prendere il suo thermos, così bevvero del caffè e mangiarono del pane con la marmellata di Nafis; si godettero un’alba unica che aveva reso quel posto ancora più magico di come lo avevano lasciato la sera prima. Un cerbiatto spuntò d’improvviso a grandi salti e passò lì davanti a loro, si fermò per tre secondi e si voltò a guardarli, li osservò, immobile, con le orecchie ritte, interminabili attimi.
Tutti fermi a guardarsi e percepire ogni vibrazione, a scambiarsi informazioni, poi di colpo ripartì con un grande salto e corse come una saetta, in pochi secondi e alcuni salti era sparito dalla loro vista, da occhi che rimasero estasiati e fissi per altri due-tre secondi, come davanti alla fine della prima di un documentario da Oscar.
Erano meravigliati da quel posto, lo salutarono con un inchino e ripresero il cammino in silenzio, pieni di curiosità per quello che stava avvenendo dentro di loro, mentre il paesaggio andava loro incontro, donandogli tutto il piacere di camminare e di vivere.
Un dono della terra a cui Safaa nella vita precedente non aveva mai fatto caso. Adesso la natura le donava per la prima volta il suo aspetto regale; lei adesso aveva la schiena dritta e non più curva, espressione di malinconia, i suoi occhi scuri erano grandi, luminosi e restituivano un senso di appagamento, sicurezza, conoscenza, calma, ricchezza dell’animo, e allo stesso tempo vi si poteva leggere dentro l’infinito, perdendovisi, per poi dover necessariamente distogliere lo sguardo. Gli occhi di Safaa ora sottili e penetranti, non permettevano di mentirgli, sapevano leggere la natura e le persone.
A differenza di prima, adesso Safaa viveva in pieno sé stessa, e contemplava, come elemento di ricchezza, il vivere la sua libertà nella natura, fare e donare qualcosa di sé stessa agli altri, agli animali, all’ambiente; l’armonia ora muoveva ogni nuova azione di Safaa, che raramente sbagliava, non conosceva più rabbia, nei momenti difficili si affidava alla riflessione e alla contemplazione.
Eccetto rare occasioni e con persone speciali, parlava poco, il suo linguaggio poteva essere letto solo ascoltando la sua musica o ascoltando la voce del suo carisma e dei leggeri movimenti, che trasmettevano solo ciò che lei voleva trasmettere; difficile era capire i suoi pensieri spontanei che emergevano dal suo intimo, trasportati con poche e mirate parole, dette con vigoria, mentre il suo sguardo puro e luminoso premiava solo chi la capiva.
Nafis aveva subito compreso i precoci e incredibili cambiamenti di Safaa e ne era rimasto colpito, sentiva che lei aveva fatto una grande evoluzione, era irriconoscibile. Mentre lei proseguiva il cammino con passo deciso davanti a lui, con un ritmo difficile da dover seguire, lui vedeva una figura che camminava in modo solenne e spedito con il corpo proteso in avanti, come a cavalcare la terra, i lunghi e lisci capelli scuri le facevano come da mantello e protezione, Quercia era esattamente come lei, quando andava al passo, quando al trotto portandosi più avanti, anche lei con la criniera che sventolava che sembrava una mantella. Era difficile mantenere il passo deciso di Safaa, non aveva mai intenzione di fermarsi, sembrava che sapesse di avere la meta a pochi passi davanti a sé, starle dietro era possibile solo grazie alla sua fonte di ispirazione, era entusiasmante ed estenuante.
Stavano percorrendo un sentiero tra i boschi, verso Sud, con al seguito la fedele Quercia; ormai camminavano da giorni e i paesaggi che scoprivano erano sempre più selvaggi e affascinanti. I loro occhi e la loro pelle si nutrivano dell’energia del sole, che raccoglievano dalle albe e dai tramonti; mutavano pian piano colore.
Ogni tramonto lo vivevano come un rituale meditativo, e si caricavano.
La quarta sera del cammino, giunsero in cima ad una lunga salita dove pensavano di trovare un posto per la notte, quando improvvisamente si trovarono di fronte ai margini di una città antica in vetta alla collina, avvolta da una nebbiolina di nuvole sottili. Dette loro una certa inquietudine, ma li attraeva per un certo mistero delle sue forme antiche e per le sue poche luci. Mentre camminavano il borgo avvolto sempre più dalle nebbie si avvicinava loro come una grande e lenta onda. Intravidero delle mura, poi di colpo la nebbia si diradò trafitta da raggi arancioni, e videro che la città aveva una vera e propria fortificazione; sembrava un Monastero. Il colore delle sue mura e pietre tuttavia era lo stesso del colle, marrone; dopo la prima impressione, sembrava accogliente.
Giunti vicino a quelle mura però decisero di fermarsi in un fienile che trovarono lungo la strada poco distante, accanto ad una vecchia casa di contadini, si misero a riposare un po’, sdraiati come di consueto sul fieno, e Safaa disse:
“Andiamo stasera al paese o passiamo qua la notte?” Nafis guardando a destra e a sinistra, replicò a Safaa: “Non ci rincorre nessuno, direi di passare qui la notte a rinfrancarsi, per poi entrare a visitare la città domani mattina, che ne pensi?”. Detto fatto, giusto il tempo di mangiare qualcosa e sistemare il telo sulla paglia, dato che per salire in paese era ormai tardi, che la stanchezza troppo confortata da quella stalla, prese il sopravvento; si sentivano protetti da quelle nebbie che sembravano creare un confine tra diverse realtà, avvolti come in un limbo. Così parlarono un po’ di quello strano luogo fino a quando, rannicchiati nelle loro coperte, i loro pensieri si persero tra parole stroncate a metà in un travolgente.
A breve la pubblicazione del cap. n. 9 "La festa medievale e l’amicizia"
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