Con Nafis si erano conosciuti una mattina nebbiosa all’ingresso della scuola, poco prima della fine dell’ultimo anno, nella loro città dell’entroterra del centro Italia. A Safaa, che era perennemente in ritardo, sempre di corsa, cadde sull’erba il suo telefono cellulare. Nafis che era dietro di lei, ma che a differenza di lei andava sempre a passo lento, nonostante lui come lei fosse ritarda tario cronico, ma più meditativo, disinteressato e incurante dei suoi ritardi, raccolse il telefono e la chiamò:
“Ehi! Ti è caduto il telefono”.
Safaa si girò e i suoi occhi scuri, luminosi e profondi, colpirono Nafis come fece una volta un raggio di luce, lasciandolo impietrito e illuminato. I suoi occhi cambiarono colore, si fissarono sul volto di lei senza aprire la bocca; tutti i suoi sensi erano ora raccolti e concentrati sul senso della vista. Era come ipnotizzato e riuscì soltanto a fare il gesto di allungare la mano e porgere il telefono alla ragazza. Lei si avvicinò, lo prese dalla sua mano e lo ringraziò, aggiungendo:
“Tanto questo oggetto è solo uno schifo, che distrugge i nostri sentimenti e sogni... me ne libererò comunque presto”.
Lei si accorse che il ragazzo era strano, se ne stava lì impietrito a fissarla, senza proferire parola. Era molto bello, magro, tutto spettinato e il suo sguardo era a pieno campo; lei non capiva se la guardasse negli occhi, o se guardava qualcosa dietro di lei, oppure tutta la sua immagine, da capo a piedi, e allora lo osservò un po’ dritto negli occhi cercando di capire, ma senza riuscirvi. Era quasi intimorita da quello sguardo, forse folle, forse saggio e ricco di visioni, luminoso... ma ne era anche incuriosita. Lui annuì alle parole di lei e i loro sguardi unici, a questo punto, parlarono molto tra di loro, si incontrarono per caso e, come calamite, due scintille si erano incontrate e non riuscivano a staccarsi. Le loro anime si intrecciarono, pareva che già si conoscessero da molte vite addietro. Dopo un lasso di tempo apparentemente interminabile ognuno disse il proprio nome; lui riuscì ad aprire la bocca dicendo:
“Io sono Nafis”.
E lei: “e io mi chiamo Danit… ah no, quasi dimenticavo, ho cambiato nome, adesso per tutti io sono ‘Sa- faa’. Ci vediamo Nafis”.
“Aspetta! dimmi solo una cosa Safaa: il tuo nome è particolare, mi riporta alla mente antiche gesta di donne berbere, intessitrici di tappeti in alte montagne del Marocco, colori meravigliosi”.
“Ti sei già dato parte della risposta Nafis, adesso devo andare”.
Lui col suo sguardo ancora fisso, ma adesso più limpido e chiaro, attento a tutto, molto espressivo, forse riflessivo, soprattutto dei suoi sentimenti, rispose:
“Va bene, allora ci vediamo Safaa”.
L’incontro si perse come loro nell’universo infinito. Pensavano che un incontro casuale durasse solo il tempo di una stella cadente, e che la vita proseguisse con gli altri mille insignificanti momenti. Ma si sbagliavano; ancora non sapevano che i loro universi cosmici, se pur immensi, si erano incrociati e fusi, non sapevano che un incontro è voluto da energie universali che convogliano le cose che devono accadere e le anime che si devono incontrare. Solo mesi dopo capirono… che in realtà era avvenuto un incontro che era stato plasmato dalle stelle in un’esplosione creatrice di un nuovo universo.
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