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La scoperta dell’Hammam

Safaa al risveglio si affacciò alla finestra e l’alba che vide su quella distesa di case bianche baciata da una magia di luce bianca e celeste la lasciò senza fiato. Si trovava in quel quartiere dal sapore afro-portoghese, dalle case tutte bianche con dei terrazzini blu. In lontananza si vedevano le mura di un castello portoghese sul mare, color sabbia con mura percorribili a piedi. La città vista da quella posizione era un agglomerato di case, umanità, storia, luce, suoni, calore, archi, palme e piante esotiche che imponevano una discreta e disinvolta, quanto necessaria, attenzione. C’erano dei campi sotto alla sua palazzina che davano l’impressione a Safaa di essere in campagna, un campo da calcio e una pista di atletica malmessa, che già di primo mattino, prima del caldo torrido vedeva persone coraggiose che correvano, in quel Paese dove nessuno corre, o così credeva Safaa. Oltre il campo c’era una grande tangenziale, poi altri campi e infine quella distesa di case bianche che sembrava un’enorme conchiglia bianca in contrasto col cielo blu che sembrava un dipinto baciato dal potente sole africano; faceva brillare il tutto, comprese le mura del castello portoghese che pareva la sua cornice, insieme all’immensa spiaggia fino all’Atlantico blu, che faceva da parete ove poggiava l’opera d’arte. I gabbiani in volo, cantavano stridenti versi indecifrabili ma coinvolgenti, trasmettevano la gioia di sentirsi vivi, in un mondo dall’energia potente e dalle ricchezze indecifrabili, nascoste da una terra ostile.
Quella visuale infondeva a Safaa una grande forza, freschezza sulla pelle, voglia di uscire a toccare tutto quello che incontrava. Un pensiero nella mente la riportò alla cantilena notturna, la ascoltò un po’ dentro ad uno scampolo di ricordo notturno, vagando con lo sguardo su quelle morbide linee bianche delle case, interrotte di tanto in tanto da palme e gabbiani; cercava di decifrare quello che le era stato trasmesso ascoltando a fatica tutto il suo sentire, fino a quando non rinunciò a voler comprendere in un attimo tutto quell’ambiente, con quell’energia nascosta, e decise di raggiungere gli altri. Uscì dalla camera e, fatti pochi passi, giunse nella piccola cucina e si sedette al tavolo dove già si trovavano Khalil e Nafis; avevano il volto limpido e riposato. Il saluto del buongiorno fu un coro comune. La guardavano come a chiederle cosa avesse in mente, dato il suo viso e i suoi occhi imperscrutabili che tuttavia sprizzavano di energia pura.
Mentre Safaa sorseggiava il tè preparato da Khalil, rammentò di nuovo quello che aveva sentito quella notte; quel pensiero non abbandonava la sua mente, ed esclamò:
“Ma voi avete sentito stamani presto, era ancora buio pesto, il suono di una specie di corno e la lettura di versetti, o preghiere, non so, o forse ho sognato?”
Nafis fece un cenno positivo e Khalil rispose: “Certo, era la preghiera del mattino del Ramadan,
io sono andato giù alla Moschea”. “Com’è stato?” disse Safaa.
Khalil rispose:
“Bello, bello, intenso”. “E poi?”
“E poi sono tornato a dormire, e adesso eccomi qua”, disse Khalil con quegli occhi che ridevano e che brillavano di un luccichio malinconico e radioso, in piena simbiosi con il suo ambiente, là fuori.
Safaa era piena di energie, ma anche i suoi due amici; tutti e tre avevano in mente lo stesso piano: l’Hammam. Era un’idea affascinante che aveva accompagnato i loro discorsi negli ultimi giorni, fino a quando non si trovarono davanti proprio all’Hammam vicino casa di Khalil; Safaa voleva andarci, prima di fare ogni altra cosa.
Uscirono in ciabatte, semplicemente, pantaloncini, maglietta e una borsa col costume, shampoo, e asciugamano. Fatti appena trenta metri, girato l’angolo della strada si trovarono di fronte la palazzina del giorno prima, ma alla luce del giorno aveva un aspetto diverso: li attirava, con la sua cupola tonda tutta dorata e un portone di legno, dietro il quale c’era una biglietteria che era come un chiosco con un ragazzino al suo interno dietro ad un banco spoglio, tutto intento nel suo compito di fare i biglietti, che sembrava un attento esattore delle tasse. Il prezzo era molto basso: due euro, inconcepibilmente basso per i canoni europei, dove ci sono pochissimi Hammam, solo uno, o due in qualche grande città, ma c’è l’alternativa delle SPA con al loro interno delle copie di Hammam, concepite, diversamente, come svago di lusso, per nulla popolare. In quel Paese tutte le persone, una o due volte la settimana andavano a rilassarsi in quel luogo mistico e di relax, di pace e di religioso silenzio.
Il commesso chiese ai ragazzi se volevano fare lo scrub, il massaggio terapeutico, o entrambe le prestazioni per lo stesso costo del biglietto d’ingresso. A Safaa indicò l’ingresso dalla parte opposta, da quel lato le donne non potevano entrare; la tradizione culturale di quel paese non ammetteva che le donne e gli uomini potessero stare insieme in un Hammam, addirittura in costume. Così era anche in tante altre occasioni, come le feste, come nelle moschee, o in alcuni bar per soli uomini. Safaa attenendosi a questa regola, sconosciuta in Europa, non poteva certo fare diversamente, come fece l’anno prima in occasione della visita da una cugina, in una sauna naturale in nord Italia al confine con la Svizzera, dove l’ingresso era consentito a uomini e donne insieme, ragazzi e ragazze, anziani, magri e grassi, ma tutti rigorosamente nudi, e l’esposizione dei privati preziosi pareva inosservata da tutti, curve, membri e carne, quando tirata, quando flaccida… una ricerca di un naturismo puro, liberato da arcaici e contemporanei, tura del corpo per totale pudore e difesa dal peccato, cristallizzati da secoli; una ricerca di libertà della pelle oltre la cultura, oltre gli sguardi, impossibile in quasi tutti i paesi del mondo, eccetto piccole realtà di analoghi tentativi naturalistici qua e là in ogni regione. Safaa rifletteva su quegli opposti: da un lato, la cultura dell’intimità legata alla totale riservatezza, dall’altro, la cultura della libertà di mostrare tutto, poi le culture delle vie di mezzo, quelle dei costumini stringati, dei corpi rifatti e della loro esposizione a svagati sguardi nascosti da occhiali da sole, una sorta di libertà, stentata libertà, che si porta dietro con sé inconsapevoli enormi limiti culturali, e perdita di valori, di capacità di vivere l’essenza delle emozioni, dell’intimità, dei talenti.
Ora Safaa si sarebbe apprestata a provare questa cultura qua, quella forse chiusa, forse bigotta, quella di quel mondo a soli quindici chilometri dalla Spagna, ma infinitamente lontano.
Si diresse dal lato opposto della palazzina, dove una ragazza gentile con il velo sulla testa le fece il biglietto. Molto presa e curiosa, percorse un primo misterioso corridoio, già di per sé affascinante, che faceva pensare alla precisione dell’arte esotica di artigiani scrupolosi nella ricerca dei particolari, che anticamente lo avevano composto, tutto fatto a mattonelline lucide di mosaici chiari e blu, fumoso di vapore acqueo che emergeva dal pavimento. Entrata in una stanza calda coi pavimenti e le pareti liscissime, trovò delle panche e alcune donne dalla pelle dorata e luminosa, con i capelli lunghi e gli occhi scuri, che erano intente a sistemarsi con calma e massima cura, in silenzio.
Tolta la maglietta, i suoi seni compatti erano ora toccati dalla nebbia calda di vapore acqueo della stanza e Safaa si sentì libera, ancor di più dall’assenza di uomini.
I suoi pensieri erano ormai distratti e diradati nella nebbia di quelle stanze calde e fumose, si lasciavano anche toccare da quanto erano resi gentili in quell’atmosfera di vapori profumati e incredibili.
Non si raccapezzava di dove fosse, tanto era il piacere. Si sedette in terra sul pavimento liscio e colorato, invaso di acqua calda e fumosa, e non capiva se con tutta la sua pelle toccava l’essenza della terra; chiuse gli occhi e assaporò quel differente e confortante stato di libertà. Non aveva da controllare gli sguardi altrui, aveva solo bisogno di pensare al piacere del proprio corpo. Con indosso solo le mutande, in ciabatte e con l’asciugamano in mano, chiese ad una ragazza, col proprio francese stentato, a cosa servissero quei grandi secchi col mestolo di plastica che le donne avevano con sé. Questa, con fare calmo e gentile si avvicinò e le disse di seguirla, pronunciando il proprio nome: “Salam Alaikum, io mi chiamo Rim, seguimi!”
Raggiunsero una grande stanza dove c’era un calore molto intenso e i pavimenti erano completamente inondati di acqua calda che scivolava da un punto ad un altro. La ragazza si tolse il proprio asciugamano di dosso.
Era anche lei completamente nuda, eccetto dei piccoli slip. La sua pelle caffellatte chiaro era forse più liscia del pavimento bagnato. Mise il secchio sotto a due rubinetti, uno di acqua bollente e uno di acqua fredda e lo riempì, rendendo a proprio piacimento la temperatura dell’acqua. Poi si mise seduta su quel pavimento reso molto caldo sia dal forno a legna posto al piano di sotto nelle cantine alimentato sin dalla notte, che scaldava tutto l’impianto, sia dall’acqua calda che vi scorreva sopra. A Safaa lei le sembrava una sfinge che, facendo pochissimi lenti e leggiadri movimenti, la incantava. Con il mestolo si versò l’acqua calda sui capelli e si sdraiò sull’impiantito fumoso con i fiumi di acqua bollente che vi scorreva leggera, a piccole onde, per la presenza di altre donne che facevano la stessa cosa.
Una donna aveva una bambina che si lasciava massaggiare e accarezzare come fosse un gatto; le versava in testa con il mestolo dei getti d’acqua, tanto che la ragazzina a occhi socchiusi quasi sembrava che facesse le fusa. Di seguito Rim si rotolò con la schiena e con il ventre sul pavimento bagnato e caldo in modo naturale e tanto era bella che la sua pelle sembrava un vestito; con un’espressione di beatitudine, guardando Safaa le sorrise e le disse: “Ehi vieni a sederti qua.”
Safaa con gli occhi sorridenti e anche un po’ sbalorditi, ma addolciti da quell’ambiente antico, caldo e sereno, in un silenzio ovattato da poche parole dell’anima, si avvicinò e le si sedette accanto con fiducia.
Rim le versò dolcemente dell’acqua sulla testa, poi su tutto il corpo, più volte, a getti che sembravano cascatelle; la beatitudine si faceva sentire e Safaa socchiuse gli occhi come un felino in segno di fiducia, avvolta dalle cure di Rim, la quale continuando le disse:
“Vuoi lo scrub?”; “Cosa?”
“Lo scrub” rispose Rim, con un mezzo sorriso interrogativo e gli occhi dritti verso di lei, “per rendere bella la tua pelle, libera dalle impurità.”
Safaa rispose:
“Ahhh, lo scrub”, e annuì rimanendo in attesa e mettendosi a gambe incrociate e con il busto tutto rivolto in avanti fino a toccare terra con la guancia.
Rim le disse: “Ora ti spiego cosa è per noi donne l’Hammam, oltre a ciò che vedi: è una sorta di bagno pubblico dove le donne, lontano dagli uomini, dai loro sguardi, e fuori dal loro controllo, lontano dalla frenesia della vita quotidiana, dai mestieri della casa e dal lavoro, hanno uno spazio per prendersi cura del loro corpo. E’ un luogo che, oltre al bagno e al relax, si trasforma in un salotto di confronto di idee, dove si socializza, si fanno nuovi incontri, in un vero momento di scambio sociale e culturale che permette loro di ricevere benessere, di crescere, di fare progetti, in totale armonia e libertà. L’Hammam ha un suo rituale che deve essere rispettato, che comprende due requisiti: possedere il necessario ‘kit’ dell’Hammam ed avere una buona ed adeguata conoscenza del galateo al suo interno. Nessuna donna può entrare senza avere con sé, oltre ai soliti prodotti di bellezza, gli elementi necessari: il sapone tradizionale naturale Sabun beldi, che costa un euro al kilo., dalla forma molto grassa e nera, l’henné, un’erba per purificare la pelle, il guanto kees, che serve per lo scrubbing e per lavare la pelle, un mestolo da usare per doccia e lavaggi, e un grande secchio da riempire con acqua calda. Si comincia con lo spogliarsi, restando a scelta con o senza la biancheria intima, ma le mutande si indossano sempre, alcune donne invece si coprono. Una volta spogliate si entra nelle varie stanze del bagno dai diversi livelli di calore e appena individuata la stanza con la giusta temperatura, prima di sedersi, si lava la superficie del pavimento dove si intende fare il bagno, con un getto di acqua calda. Il rituale inizia massaggiando tutto il corpo con il Sabun beldi mescolato all’henné, talvolta una donna aiuta l’altra; poi si lascia riposare la pelle, dopodiché si sciacqua il corpo e si inizia a sfregarlo con il kees, il guanto ruvido. Talvolta ci facciamo a vicenda lo scrubbing alla schiena, e anche se non lo chiediamo, qualche compagna si fa avanti per proporti di fartelo spontaneamente, su ogni parte del corpo, fino all’atto del lavaggio; il tutto accompagnato da chiacchiere, sorrisi, e considerazioni di ogni tipo. Talvolta si parla di tutto, sino a progettare anche matrimoni per i propri figli e nipoti; quando capita una buona combinazione viene valutata la proposta, perché le donne più anziane sanno chi è disposto a sposarsi e cosa cerca, conoscono le personalità e i caratteri delle ragazze più giovani, sanno cosa vogliono fare: studiare, lavorare, oppure, se è tempo, fare famiglia”.
Safaa le disse: “Ma come è possibile che una ragazza possa accettare uno sconosciuto?”
E le Rim rispose: “Non si tratta di uno sconosciuto, ma di una presentazione di due persone affini che sono pronte per farsi una famiglia, poi dopo che si sono conosciuti, saranno loro a decidere; le madri o le zie o le amiche si consultano e propongono di far conoscere due persone che non si conoscono. E’ una vera tradizione, lo fanno per rendere un servizio, sapendo che per strada non è facile incontrarsi in un paese come questo; poi loro sanno bene che l’amore arriva solo e soltanto dopo il matrimonio e la vita insieme… se così deve essere; per quelle coppie ben scelte generalmente l’amore arriva dopo, ma certamente non può arrivare prima della convivenza. Così facendo offrono una minima tutela alle ragazze da un infinito cambio di fidanzati, non troppo ben visto a livello sociale e non troppo salutare per lo spirito della ragazza. Se dopo il matrimonio la convivenza non funziona, è comunque ammesso il divorzio e ce ne sono anche qua di divorzi”.
Safaa rimase un po’ in silenzio e pensierosa da questo racconto, ma si sentì di non aggiungere nulla, di non esprimere dei giudizi, dato che da un punto di vista, effettivamente, tale usanza poteva avere dei vantaggi e delle opportunità per le giovani ragazze di quel mondo, così rimuginò solo un po’ tra sé e sé, e poi disse a Rim:
“In Europa tale sistema sarebbe del tutto impensabile. Le coppie da noi si scelgono in totale autonomia, la donna ha raggiunto una indipendenza economica e se vuole vive anche da sola, e da sola si cerca il proprio partner, e così fa l’uomo: si scelgono da soli. Questa noi la chiamiamo libertà. Poi succede che a volte in alcune famiglie si verificano delle violenze dovute proprio alla mancata accettazione dell’acquisita libertà femminile. Ma le coppie si fanno e si disfano in modo totalmente casuale, spesso solo per passare il tempo, per comunanza di interessi, interessi economici e condizione sociale; ma si verificano unioni senza intermediazioni in locali pubblici, nelle discoteche, nelle università, sul lavoro. Difficilmente due ragazzi affini vengono fatti conoscere; ma, effettivamente, quando succede la cosa funziona, per il resto tutto è casuale, libero, e gli esiti positivi delle unioni sono dettati, non solo dall’amore, ma principalmente dal livello culturale delle persone e dal loro buon senso; è una realtà, a suo modo, libera”.
Facendo queste considerazioni le due ragazze si passavano sulla pelle le spugne imbevute di acqua per togliere i residui lasciati dallo scrub, con estrema delicatezza. Safaa ruppe il rituale dicendo:
“L’amore va comunque coltivato, non basta seminarlo”.
Rim, sorridendo, rispose: “Sì, con acqua calda e pace. Qui nell’Hammam si hanno anche duri diverbi, poi col calore dell’acqua vengono subito dimenticati e si trova la pace”.
Risero entrambe, e Safaa aggiunse:
“Non scherzo, il problema della mia società è l’educazione alla competizione e alla ferocia. L’uomo di per sé non nasce feroce. L’insegnamento del nostro profeta Gesù, che poi mi risulta essere un profeta anche nel Corano, sarebbe quello di imparare ad amare il prossimo, ma il problema è come la società si è sviluppata”.
Rim allora le disse:
“Da noi l’Hammam è una fonte di conservazione e trasmissione verbale della cultura che mantiene inalterato lo stato delle cose, permettendo che questa si tramandi nel tempo di generazione in generazione; luogo per lo scambio di informazioni, ricette, leggende, abbinando tutto questo alla cura del corpo, alla pulizia ed al relax psicofisico. E’ un mondo a sé che forse a modo suo tutto permette, anche le cose più impossibili, come il nostro incontro”.
E dette a Safaa un bacio sulla fronte accarezzandole i capelli e versandole sopra dell’acqua calda, mentre lei annuiva e mandava indietro la testa. Poi prese un guanto poroso, lo indossò, lo strusciò su un blocco di sapone scuro e iniziò a strusciare la mano sulle spalle di Safaa versandole sopra l’acqua semi bollente con il suo mestolo. Il guanto era ruvido e grattava forte la pelle bianca di Safaa, ma col sapone e l’acqua calda che scorreva, la sensazione di dolore era superata da quella del piacere. “Del resto” pensò Safaa “i ricettori cellulari del dolore sono gli stessi del piacere, ecco perché se hai prurito o dolore, grattandoti e aggiungendo dolore, arriva poi al piacere”. Rim continuò a massaggiare per mezz’ora tutto il corpo della compagna di Hammam, mentre lei si era completamente lasciata andare, sdraiata a rotolare sul quel pavimento blu barocco con i suoi seni liberi, nascosti e accarezzati dai vapori e dalle mattonelle calde e scivolose; “Mai visto un pavimento così confortevole, liscio, caldissimo e avvolgente” pensò Safaa. Per lei quello era il primo momento di incredibile rilassamento vissuto in quel paese, o forse da sempre, con un calore nello spirito provocato da quella spontanea e inaspettata amicizia; calore ritrovato dopo molte pene, delusioni e fughe da persone tossiche, lunghi viaggi a piedi, stancanti e disagiati, ora sentiva spazzare via pensieri stagnanti e stanchezza accumulata. Si stava rinnovando nel corpo e nella mente, grazie anche a quella una nuova amicizia.
La ragazza appena conosciuta, che più o meno po- teva avere sei o sette anni più di lei, passati nella cura dello spirito e degli altri, con la pace e la conoscenza negli occhi, le si dedicava con attenzione e amore, servendola per donarle totale armonia, piacere e cura massima della pelle, che per quella cultura era un elemento importante da proteggere, elemento che separa il corpo dal mondo esterno. Poi iniziò a farle un potente massaggio muscolare.
Safaa urlò appena: “Hauuu!”.
Rim le tirava forte le braccia all’indietro, con un piede puntato sulla sua schiena.
“Così mi rompo… huuu! Haaaa!”
Safaa fece un sussulto tra dolore e piacere, tutto in lei si snodava e scrocchiava. Rim sorridendo sussurrò: “Piccola, lasciati andare… morbida, sono una fisioterapista, non ti faccio male, poi, quando uscirai fuori a camminare all’aria fresca, ti sentirai leggera e penserai di aver trovato una sorella”.
Safaa era combattuta tra l’urlare ancora e la beatitudine che riceveva, il pavimento reso sempre più liscio dal costante scorrere dell’acqua calda. “Non è un pavimento”, pensava Safaa. Con quel velo d’acqua assumeva uno speciale connubio e diveniva come la pelle bagnata e vellutata di Rim.
Non sapeva più quando era che si rotolava sul pavimento o quando toccava la pelle di Rim; i due elementi e il suo corpo entravano in fusione e si confondevano. Si lasciò andare al piacere degli elementi, e quei minuti che scorrevano lenti non rappresentavano più il tempo, ma tutto l’universo spazio temporale.
Quando Rim ebbe finito, le mise dello shampoo naturale sui lunghi capelli e le disse piano con il tono caldo della sua voce: “Adesso puoi riprendere a massaggiarti i capelli, vedrai che quando uscirai da qui ti sentirai un’altra, ihamdo lillah”.
Alla fine si cambiarono insieme; Safaa le disse che nel proprio Paese tutta questa meraviglia non esisteva
e non sapeva nulla di quella incredibile tradizione così comune, che nell’Hammam per sole donne esistesse quella pace incredibile, forse determinata proprio dall’assenza degli uomini, e Rim replicò: “Penso che non conosci molte cose delle nostre ricchezze e della libertà che abbiamo, che da voi purtroppo con superficialità viene chiamata schiavitù; nonostante la disinformazione che in occidente regna, potrebbe essere utile almeno divulgare qualcosa del Corano, che poi ha tantissimi punti in comune con la vostra Bibbia, a partire dall’unico Dio, fatto, anche questo, non conosciuto e foriero di inutili tensioni.
Il Corano eleva la donna sopra ad ogni cosa; da noi non esiste il concetto di donna vetrina, donna da esibire, donna inutile. Semmai esiste proprio il concetto di donna libera, anche se è una libertà tutta sua, tutta particolare, fatta di valori e usi antichi, scolpiti nei colori, nelle tradizioni e nell’anima. In ogni caso la libertà va sempre raggiunta con impegno e fatica, in qualsiasi parte del mondo ti trovi”. Dopo un po’ di esitazione, giunto il momento dei saluti, le disse: “Se vuoi stasera da me c’è una festa, sarei felice se tu venissi, così vedrai”.
Le diede l’indirizzo e la salutò con tre baci sulle guance e un abbraccio, di pura umanità.
Uscì fuori, l’aria calda e secca esterna le sembrava freschissima, e si sentiva leggera e leggiadra come una farfalla; pensò di avere subìto la metamorfosi, di quelle meraviglie che avvengono in natura, come dal bruco all’essere farfalla, durante le due ore passate in quel luogo magico.
Così, rientrando, ora si muoveva in punta di piedi, come camminando su una nuvola.
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